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Infarto, create nanoparticelle “pac-man” che divorano le placche nelle arterie

Ricercatori americani delle università di Stanford e del Michigan hanno messo a punto minuscole nanoparticelle “pac-man” in grado di spingere i macrofagi ad attaccare e divorare le cellule morte alla base delle placche aterosclerotiche, tra i principali fattori di rischio dell’infarto. Efficaci nei topi, potrebbero portare a una nanoterapia in grado di prevenire il rischio di attacco di cuore.
A cura di Andrea Centini
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Illustrazione delle nanoparticelle che spingono i macrofagi ad aggredire le placche. Credit: Bryan Ronain Smith
Illustrazione delle nanoparticelle che spingono i macrofagi ad aggredire le placche. Credit: Bryan Ronain Smith

Create in laboratorio nanoparticellepac-man” che spingono i macrofagi a divorare le cellule morte alla base delle placche aterosclerotiche nelle arterie, che vengono ridotte in dimensioni e stabilizzate. La scoperta potrebbe aprire le porte a una nanoterapia rivoluzionaria in grado di prevenire l'infarto, del quale l'aterosclerosi e la conseguente occlusione delle arterie rappresenta uno dei principali fattori di rischio.

A mettere a punto le nanoparticelle è stato un team di ricerca americano guidato da scienziati dell'Università Statale del Michigan, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dei dipartimento di Radiologia e Chirurgia della prestigiosa Università di Stanford. Gli scienziati, coordinati dal professor Bryan Ronain Smith, docente presso il Dipartimento di Ingegneria Biomedica dell'ateneo statunitense, le hanno create attraverso nanotubi di carbonio a parete singola, caricati con uno specifico inibitore chimico dell'asse di segnalazione anti-algocitico chiamato CD47-SIRPα.

Ma come funzionano esattamente queste nanoparticelle? In parole semplici, una volta messe in circolo (sono state testate su modelli murini) vanno ad accumularsi all'interno delle placche aterosclerotiche, attivano i macrofagi a divorare le cellule morte – apoptoiche – che sono precursori dell'infiammazione e dell'aterosclerosi. Il dettaglio interessante risiede nel fatto che questa attivazione è estremamente selettiva, e non danneggia i tessuti sani. Terapie alternative sperimentali che si basano sulla cosiddetta clearence fagocitica possono infatti aggredire tessuti sani, determinando tossicità ed anemia.

Negli esperimenti sui topi questi “cavalli di Troia” sono stati in grado di riattivare i macrofagi e “ringiovanirli”, determinando una riduzione delle placche e la loro stabilizzazione. Secondo gli autori della ricerca i prossimi studi clinici dovrebbero confermare la bontà della nanoterapia; nel caso in cui dovesse funzionare egregiamente anche nell'uomo potrebbe ridurre in modo sensibile i casi di infarto, tra le principali cause di morte nei Paesi industrializzati. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica specializzata Nature Nanotechnology.

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