In quali casi potrebbe servire la terza dose di vaccino Covid
Quando andrà fatta la terza dose di vaccino anti-Covid? Come si farà a capire se sarà necessaria? E ancora, ci saranno categorie per le quali potrebbe essere raccomandata? Sono queste alcune delle domande per cui, al momento, non ci sono ancora risposte definitive. Le procedure scientifiche per valutare se e quando potrebbe servire una terza dose sono in corso, così come non è ancora noto il cosiddetto correlato di protezione, ovvero il livello misurabile di risposta immunitaria (anticorpi e linfociti T) sopra cui siamo protetti e al di sotto del quale siamo suscettibili all’infezione.
In Israele, attualmente già in piena fase terza dose per gli over 60, i dati preliminari indicano che una terza dose di Pfizer non mostra effetti collaterali significativi, aumentando il livello di anticorpi neutralizzanti (capaci di bloccare l’ingresso del virus nelle cellule). Questi anticorpi, da soli, non predicono l’efficacia della vaccinazione, ma i ricercatori ritengono che il loro calo nel tempo possa arrivare ad avere impatto sulla protezione conferita dal regime vaccinale a due dosi. Pertanto, la somministrazione di una dose supplementare potrebbe essere raccomandata almeno per le fasce di popolazione più vulnerabili, come i pazienti immunodepressi, ma anche gli anziani e le persone fragili.
La terza dose di vaccino Covid
Nell’ambito degli studi in corso, le prime prove che a supporto di un ulteriore richiamo arrivano dal Regno Unito, dove un team di ricerca del Francis Crick Institute e dell’Imperial College di Londra sta esaminando la possibilità che gli immunodepressi abbiano bisogno di una terza dose per essere adeguatamente protetti. In particolare, gli studiosi stanno valutando se i pazienti in dialisi per malattie renali saranno tra le categorie per le quali la somministrazione dovrà essere considerata prioritaria.
I dati preliminari, riferiti a 178 persone in emodialisi su oltre mille che verranno arruolate, hanno indicato che questi pazienti rispondono bene ai vaccini, anche se la risposta anticorpale neutralizzante è risultata più ampia dopo il ciclo vaccinale a due dosi con Pfizer rispetto ad Astrazeneca. In particolare, i risultati dei test di laboratorio pubblicati su The Lancet hanno mostrato che i pazienti che in precedenza non avevano contratto l’infezione e hanno ricevuto il vaccino a mRNA di Pfizer avevano livelli sei volte superiori di anticorpi neutralizzanti contro la variante Delta rispetto ai pazienti vaccinati con Astrazeneca. “I livelli di anticorpi neutralizzanti indotti dal vaccino a mRNA erano invece paragonabili a quelli osservati nelle persone sane dopo entrambe le dosi di vaccino” hanno precisato gli studiosi.
I ricercatori hanno inoltre osservato che nei pazienti che avevano evidenza di infezione prima della vaccinazione, entrambi i vaccini hanno indotto livelli rilevabili di anticorpi neutralizzanti. “Questi risultati suggeriscono che i pazienti che in precedenza non hanno contratto l’infezione e hanno ricevuto il vaccino di Astrazeneca trarrebbero probabilmente beneficio da una terza dose anticipata di un vaccino a mRNA”.
“Questi risultati indicano chiaramente che è improbabile che i pazienti in dialisi (che in precedenza non hanno avuto Covid-19) siano adeguatamente protetti dalla variante Delta se hanno ricevuto il vaccino di Astrazeneca – ha affermato Aisling McMahon, direttore esecutivo di ricerca, innovazione e politica il presso Kidney Research UK, che ha co-finanziato lo studio insieme alla National Kidney Federation e diverse associazioni di pazienti con insufficienza renale – . Riteniamo che questo studio fornisca una forte evidenza a supportarto di una terza dose di un vaccino mRNA come trattamento standard il prima possibile per tutti i pazienti immunodepressi che potenzialmente rimangono a rischio”.