Cani che si fidano dell'essere umano uccisi a fucilate nel cuore della notte, questo è ciò che sta accadendo in Marocco in queste ore dove è stata aperta una vera e propria caccia al randagio che potrebbe non essere ancora finita. Dalle poche notizie che arrivano da Aourir, Tamraght e Taghazout, località turistiche in forte crescita sulla costa marocchina, i cani morti sarebbero diverse decine e il numero potrebbe salire ancora. Cosa sta facendo il Marocco e perché è una delusione?
Perché li stanno ammazzando. Secondo quanto raccontano i testimoni sul luogo, come si può vedere anche nel post qui sotto, a compiere questa strage sarebbero gruppi di uomini armati di fucile ai quali sarebbe stato ordinato di eliminare i randagi che da anni ormai vivono in totale armonia con la popolazione locale. Il motivo? Diverse sono le ipotesi, dalla volontà del Marocco di candidarsi per il Mondiale 2026 alla costante crescita edilizia e turistica, ma ognuna di queste rappresenta solo il contorno di una realtà che da sempre aveva scelto di gestire il numero dei randagi sul territorio con pratiche poco ‘ortodosse' che implicavano appunto la fucilazione.
Una pratica diffusa. Insomma, in Marocco, così come accade anche in Italia (ricordiamo la strage dei 30 cani di Sciacca), ogni tanto si decide che è giunto il momento di ridurre il numero dei randagi: e sul come ognuno ha le proprie preferenze, dai bocconi avvelenati fino alle fucilazioni.
L'inizio di un progetto intelligente. Due anni fa però la situazione è cambiata: le istituzioni locali hanno firmato un accordo con l'associazione Le Coeur sur la Patte che vietava l'uccisione dei randagi ‘controllati' e identificabili da una targhetta colorata applicata sull'orecchio.
Sembrava un sogno divenuto realtà, il Marocco era diventato un esempio positivo da seguire in tutto il mondo.
Da allora infatti, anche grazie a migliaia di euro ottenuti dalle stesse istituzioni (fatto che rende la strage ancor più inspiegabile), l'associazione Le Coeur sur la Patte, oltre ad aver aperto un canile ad Agadir, ha dato il via ad un lungo processo di censimento dei cani sul territorio che consiste nella loro cattura, sterilizzazione e reinserimento sul territorio: i cani inseriti all'interno di questo programma, come dicevamo, sono identificabili con una targhetta colorata applicata all'orecchio, questa targhetta avrebbe dovuto garantire loro la salvezza, avrebbe appunto perché, da quanto raccontano i testimoni sul posto, gli uomini armati di fucile non sembrano fare distinzioni.
Da tutto il mondo per studiare il Marocco. Oltre all'associazione, in questi anni, sul territorio sono arrivati anche altri gruppi di persone interessate a studiare l'aperta e avanguardistica situazione marocchina: dall'Università di Vienna, che proprio sul territorio ha dato il via a ricerche scientifiche sulla vita dei cani randagi che ci stanno permettendo di conoscere meglio il migliore amico dell'uomo, al progetto italiano “Stray Dogs International Project”, guidato da Clara Caspani e Lorenzo Niccolini, esperti cinofili, che da anni studiano il randagismo con l'obiettivo di trovare un giusto equilibrio tra la libertà dei cani e quella degli esseri umani, con il fine ultimo di convivere insieme pacificamente e nel rispetto dei propri spazi e delle proprie necessità, evitando quindi che stragi come quelle che accadono in tutto il mondo non debbano ripetersi.
Sembrava un sogno divenuto realtà, il Marocco era diventato l'esempio positivo internazionale da seguire in tutto il mondo.
Il sogno infranto. Eh già, sembrava… perché questo sogno si è infranto in queste ore, ore in cui tutti coloro che hanno lavorato in questi anni ai progetti dedicati alla convivenza uomo-cane stanno cercando di capire come sia potuto accadere.
Turisti traumatizzati. Turisti che nel cuore della notte si svegliano per il rumore delle fucilate a cui seguono i pianti disperati dei cani, che spesso restano solo gravemente feriti, turisti che non torneranno mai più in questi luoghi che erano diventati il loro punto di riferimento per il surf e per le vacanze all'insegna del relax e della bella vita. Turisti che racconteranno ai loro amici e parenti le scene terribili a cui hanno assistito.
Tutto questo a cosa porterà?
Marocco, mi avevi regalato una speranza. In questi ultimi anni il Marocco ha investito milioni di euro in costruzioni da destinare al turismo, in quei luoghi in cui i randagi vivevano liberi ho potuto guardare coi miei occhi il cemento coprire la collina, i resort prendere vita, ed ero affascinata da come questo Paese stesse riuscendo dove noi avevamo fallito: permettere la convivenza tra cani e persone attraverso investimenti istituzionali e seri progetti di ricerca scientifica, in luoghi destinati al turismo.
Una convivenza possibile. Insomma, il Marocco stava investendo da un lato per progredire e arricchirsi attraverso il turismo, come è normale che sia, dall'altro però non dimenticava i cani, animali considerati impuri dall'Islam (religione nazionale) ma la cui vita viene comunque rispettata e per questo protetta, o almeno così dovrebbe essere. “Io non vivo con un cane in casa, ma lo rispetto perché è un essere vivente”, questa è la frase che ripetono gli abitanti di Taghazout che fino a poco tempo fa vivevano serenamente con un centinaio di cani liberi e sparsi sul territorio.
Il Marocco in queste ore ha infranto il sogno di molti: dei turisti, delle associazioni locali, dei ricercatori che arrivavano da tutto il mondo e degli stessi marocchini. Perché?
Il problema randagismo. Quello del randagismo è un problema di difficile gestione, e certo noi italiani non possiamo vantarci molto, ma proprio in queste località marocchine sembrava esserci una soluzione: sterilizzare i cani, reinserirli sul territori identificati, sverminati e sani, gestire le risorse di cibo e acqua a loro destinate, per poi lasciare al tempo che passa la riduzione del numero di esemplari che, in quanto castrati, non posso riprodursi.
Un Paese senza pazienza. Il Marocco non ha avuto pazienza e, come spesso accade quando si è pazienti, potrebbe pagarne le conseguenze: una riduzione drastica del turismo, con conseguente perdita di guadagni sia per i cittadini sia per le istituzioni, una più difficoltosa convivenza con i cani rimasti, ora traumatizzati e sfiduciati, e la perdita della stima di tutti coloro che in questi luoghi venivano per studiare i randagi.
Ma soprattutto questa scelta è fallimentare perché tanto i cani torneranno, nuovi gruppi si formeranno, e con il progresso che avanza sarà sempre più difficile agire con le fucilate: gli occhi sono puntati sul Marocco e quello che abbiamo visto in queste ore non ci sta piacendo per nulla.
Online è possibile firmare una petizione contro ciò che sta avvenendo in Marocco.
[Nella foto di Stray Dogs International Project potete vedere il cane Chonik, considerato il ‘capo' dei cani di Taghazout, non sappiamo se sia ancora vivo]