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Covid 19

La variante Omicron ha un rischio di reinfezione nei guariti 2,4 volte superiore

Un nuovo studio condotto in Sudafrica ha rilevato che la variante Omicron ha una capacità sostanziale di eludere l’immunità legata a una precedente infezione.
A cura di Andrea Centini
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Particelle del coronavirus SARS-CoV-2 su una cellula umana. Credit: NIAID
Particelle del coronavirus SARS-CoV-2 su una cellula umana. Credit: NIAID
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La nuova variante Omicron ha una sostanziale capacità di reinfezione, ovvero di infettare nuovamente coloro che in precedenza era stati già contagiati da un altro ceppo del coronavirus SARS-CoV-2, come ad esempio le varianti Beta e Delta. La capacità di eludere efficacemente le difese immunitarie innescate da una precedente infezione naturale sarebbe legata alle numerose mutazioni che caratterizzano la variante emersa in Sudafrica, delle quali ben 32 sono localizzate sulla proteina S o Spike, il “gancio” sfruttato dal patogeno pandemico per legarsi alle cellule umane, rompere la parete cellulare, riversare l'RNA virale all'interno e avviare il processo di replicazione che scatena la malattia (COVID-19). Al momento non è ancora chiaro se la fuga immunitaria si determini anche ai danni di chi ha ricevuto il vaccino anti Covid; nel giro di una – due settimane saranno disponibili i risultati dei primi test di neutralizzazione condotti con il sangue di vaccinati, con 2 e 3 dosi.

A determinare che la variante Omicron ha una notevole capacità di reinfettare chi era stato già contagiato è stato un team di ricerca sudafricano guidato da scienziati dell'Istituto Nazionale per le Malattie Trasmissibili – Divisione del National Health Laboratory Service, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del South African DSI-NRF Centre of Excellence in Epidemiological Modelling and Analysis (SACEMA) dell'Università Stellenbosch, dell'Università del Witwatersrand e del Centre for the AIDS Programme of Research in South Africa (CAPRISA). Gli scienziati, coordinati dalla professoressa Juliet R.C. Pulliam, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver confrontato i tassi di infezioni primarie e reinfezioni in varie fasi della pandemia di COVID-19: quando circolava principalmente la variante Beta, al culmine della diffusione della Delta e nell'ultimo mese, quando la variante Omicron ha iniziato a serpeggiare, in particolar modo nella provincia di Gauteng. Dall'analisi dei dati di sorveglianza raccolti nel periodo tra il 4 marzo del 2020 e il 27 novembre 2021, è stato rilevato che la variante Omicron determina un rischio di reinfezione “sostanzialmente superiore” a quello delle varianti Beta e Delta, rispettivamente durante la seconda e terza ondata di contagi registrata in Sudafrica.

Più nello specifico, la professoressa Pulliam e colleghi si sono concentrati sulle cartelle cliniche di circa 2,8 milioni di cittadini sudafricani che avevano ricevuto una diagnosi confermata di infezione almeno 90 giorni prima del 27 novembre 2021. I ricercatori hanno rilevato poco meno di 36mila casi di sospetta reinfezione. Durante le ondate di Beta e Delta è stato osservato un aumento nel rischio di infezione primaria ma non di reinfezione, mentre nell'ultimo mese, quando si è diffusa la variante Omicron, è stato osservata una diminuzione nel rischio di infezione primaria – si pensa per via dell'aumento delle vaccinazioni – ma un aumento del rischio di reinfezione. “Il rapporto di rischio stimato per la reinfezione rispetto all'infezione primaria per il periodo dal 1 novembre 2021 al 27 novembre 2021 rispetto alla prima ondata è stato di 2,39 (CI95: 1,88-3,11)”, scrivono gli scienziati nell'abstract dello studio. In altri termini, il rischio di reinfezione in questa ondata di Omicron risulta essere 2,4 volte superiore rispetto alla prima ondata. È importante sottolineare che gli scienziati non sanno quale fosse lo stato di vaccinazione dei pazienti coinvolti, pertanto non è ancora possibile stabilire se la fuga immunitaria si determini anche nei vaccinati. L'amministratore delegato di BioNTech, il professor Ugur Sahin, ritiene probabile che la variante Omicron possa infettare i vaccinati, tuttavia resterebbe sostanziale la protezione dalla malattia grave. Per sapere se la variante Omicron sia in grado di superare le difese immunitarie dei vaccinati (con 2 o 3 dosi) sarà comunque necessario attendere i risultati dei test di neutralizzazione, che arriveranno nei prossimi giorni.

“L'evidenza a livello di popolazione suggerisce che la variante Omicron è associata a una sostanziale capacità di eludere l'immunità da una precedente infezione. Per contro, non ci sono prove epidemiologiche a livello di popolazione di fuga immunitaria associata alle varianti Beta o Delta”, hanno specificato la professoressa Pulliam e colleghi. Sapere che la nuova variante di preoccupazione ha una tale capacità determina naturalmente implicazioni significative in termini di salute pubblica e gestione della pandemia. In Sudafrica, al momento, risulta completamente immunizzato solo il 25 percento della popolazione. La scarsa copertura vaccinale sarebbe proprio alla base della nascita di nuove varianti come la Omicron, che avrebbe covato per mesi nell'organismo di un paziente immunodepresso, prima di riversarsi nella comunità col suo carico abnorme di mutazioni. Al momento, fortunatamente, sembra che la Omicron determini sintomi lievi, a causa della concentrazione delle mutazioni in una specifica posizione della proteina S, come spiegato a Fanpage dal virologo Fabrizio Pregliasco. Ma la casistica è ancora troppo bassa e ancora non sappiamo effettivamente se possa aumentare il rischio di ricovero e morte anche nei vaccinati. Non resta che attendere i risultati dei test e i nuovi dati epidemiologici. I dettagli della ricerca sudafricana “Increased risk of SARS-CoV-2 reinfection associated with emergence of the Omicron variant in South Africa” sono stati caricati nel database online MedrXiv, in attesa della revisione paritaria e la pubblicazione su una rivista scientifica.

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