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Il Coronavirus è “ubiquitario”, l’esperto: “È la punta dell’iceberg di casi non individuati”

In seguito all’ulteriore diffusione di casi di Coronavirus in Lombardia e Veneto, il virus è stato definito “ubiquitario”. Ma cosa significa? Lo abbiamo chiesto al virologo Fabrizio Pregliasco dell’Università degli Studi di Milano. Ecco cosa ci ha detto.
A cura di Marco Paretti
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La diffusione del Coronavirus in Italia continua a crescere con ulteriori casi accertati di contagio che ora superano le trenta persone. Ci sono stati anche i primi morti italiani: un 77enne della provincia di Padova e una 76enne del lodigiano. In riferimento a un nuovo caso di un uomo di 67 anni di Padova, il governatore del Veneto Luca Zaia ha spiegato: "Questo ultimo caso è un altro caso che fa ‘scuola' perché non c'è alcun contatto da portatore primario e quindi si può dire che questi tre casi che il virus è ubiquitario come accade per la sindrome influenzale che non si sa da chi la si è presa". Abbiamo chiesto cosa significa a Fabrizio Pregliasco, virologo presso il Dipartimento Scienze biomediche per la salute dell’Università degli Studi di Milano, Vice Presidente Nazionale dell’A.N.P.A.S. (Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze) e Direttore Sanitario della Casa di Cura Ambrosiana SRL di Cesano Boscone.

Che cosa vuol dire virus ubiquitario?

Zaia voleva dire che è presente nella comunità Italiana, per ora riteniamo in una zona geografica limitata. La questione cambia nel senso che anche noi, come altre nazioni, stiamo subendo come ci aspettavamo questo arrivo di casi secondari perché il muro che abbiamo messo non è un muro impermeabile.

E questo come modifica la situazione italiana?

Questi due signori erano due anziani che non giravano molto, andavano al bar e si sono ritrovati ad essere contagiati. Vuol dire che più persone in Italia in questo momento, speriamo poche, sono untori della malattia. Vuoi perché malaticci o poco malati, come il caso dell'ipotetico paziente zero della Lombardia. Non hanno sviluppato sintomi, quindi in modo inconsapevole sono diffusori della malattia. Può essere un cinese che è stato là e si è spostato o un italiano. Oppure un secondo caso, che è ancora peggio: un italiano che è stato in Germania, dove c'è stato un caso, poi viene qua e non se ne rende conto.

Quindi potrebbero esserci più "untori" non individuati

A questo punto noi vediamo la punta dell'iceberg dei casi. Finché erano i due turisti cinesi si parlava di due persone che arrivavano da là. Questi invece pare che non abbiano creato casi secondari, questa situazione vista così è la punta dell'iceberg di altri casi che non siamo riusciti a individuare. Dobbiamo restringerla.

In Italia stiamo parlando ancora di focolaio?

Assolutamente sì. Un'epidemia è la presenza di un caso anche quando non c'è. Si parla di malattia sporadica, endemica ed epidemica. L'endemia può essere un caso ogni mille o cento casi ogni mille, ma costante. L'epidemia è una situazione atipica, di concentrazione geografica o temporale. Siamo di fronte al focolaio, che è un inizio di epidemia. La dimensione dell'epidemia è dai pochi casi alla pandemia, che vuol dire epidemia mondiale.

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Giornalista dal 2002 specializzato in nuove tecnologie, intrattenimento digitale e social media, con esperienze nella cronaca, nella produzione cinematografica e nella conduzione radiofonica. Caposervizio Innovazione di Fanpage.it.
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