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Il caffè potrebbe ridurre il rischio di ammalarsi di Alzheimer e Parkinson: ecco perché

Un team di ricerca canadese ha dimostrato che composti chimici derivati dalla tostatura del caffè, i fenilindani, hanno la capacità di impedire alle proteine tau e beta-amiloide di deformarsi e generare grovigli, i cui accumuli nel tessuto cerebrale sono associati a patologie neurodegenerative come morbo di Alzheimer e morbo di Parkinson.
A cura di Andrea Centini
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Il caffè potrebbe essere un preziosissimo alleato contro il morbo di Alzheimer e il morbo di Parkinson, due delle patologie neurodegenerative più diffuse e temute al mondo. Lo ha dimostrato un team di ricerca composto da studiosi canadesi dell'Istituto di Ricerca Krembil presso la University Health Network e dei dipartimenti di Chimica e Medicina dell'Università di Toronto. Gli scienziati, coordinati dal dottor Donald Weaver, non si sono limitati a effettuare il classico studio di associazione per mettere in relazione il consumo di caffè con l'insorgenza delle patologie, un tipo di ricerca che non determina rapporti di causa-effetto, ma hanno condotto eleganti esperimenti in laboratorio.

Per prima cosa Weaver ha coinvolto nell'indagine un ricercatore in chimica farmaceutica e un biologo, al fine di analizzare nel dettaglio le caratteristiche di tre distinte tipologie di caffè: a tostatura leggera, a tostatura prolungata e a tostatura prolungata decaffeinato. Di queste tre varianti gli scienziati hanno valutato le proprietà di sei distinti composti, ovvero acido clorogenico, acido chinico, acido caffeico, quercetina, caffeina e fenilindani. Proprio questi ultimi composti chimici, derivati dal processo di tostatura del caffè, sono risultati particolarmente interessanti nel contrasto dell'Alzheimer e del Parkinson. Per quale ragione?

Le patologie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer sono legate all'accumulo di grovigli di proteine chiamate tau e beta-amiloide, che si piegano e deformano nel tessuto cerebrale. Weaver e colleghi hanno scoperto che i fenilindani riescono a impedire la deformazione di queste proteine, impedendogli di fatto di creare i famigerati grovigli. Il caffé a tostatura prolungata è quello che produce più fenilindani, indipendentemente dal contenuto di caffeina, di conseguenza si tratterebbe di quello più benefico. Naturalmente prima di poter confermare l'effettiva protezione del caffè da queste gravi malattie è necessario condurre approfonditi test di laboratorio; ad esempio, andrebbe capito se i fenilindani riescano a viaggiare nel flusso sanguigno e soprattutto a superare la barriera emato-encefalica, quella che protegge il cervello da agenti patogeni e altri elementi indesiderati.

Alcuni studi hanno trovato un'associazione positiva tra consumo di caffè e protezione da demenza e patologie neurodegenerative, che potrebbe proprio dipendere da questa capacità dei fenilindani, mentre altri hanno fatto emergere il risultato opposto. Per scoprire la verità sarà necessario condurre altre indagini più approfondite; nel frattempo ci accontentiamo dei numerosi benefici emersi dagli ultimi studi sulla deliziosa bevanda nera. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Frontiers in Neuroscience.

[Credit: Engin_Akyurt]

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