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Il buco dell’ozono si è ristretto: è ai minimi storici dal 1982. Ma non è (solo) una bella notizia

La NASA e il NOAA hanno annunciato che il buco dell’ozono ha raggiunto i livelli minimi dal 1982. È stata infatti rilevata un’estensione di “soli” 10 milioni di chilometri quadrati alla fine di settembre e a ottobre, mentre l’8 settembre era di 16 milioni di chilometri quadrati. La riduzione è legata alle temperature infernali scatenate dai cambiamenti climatici.
A cura di Andrea Centini
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Questo autunno il buco dell'ozono sopra l'Antartide ha raggiunto la minima estensione da quando è stato scoperto, negli anni '80 del secolo scorso. Gli scienziati hanno infatti rilevato un'estensione di 10 milioni di chilometri quadrati nel mese di ottobre e alla fine di settembre, un valore sensibilmente inferiore rispetto ai 16 milioni di chilometri quadrati registrati l'8 settembre. Benché si tratti di una notizia eccezionale sotto il profilo della schermatura dei raggi ultravioletti (maggiore è il diametro del buco dell'ozono, più ne passano), il fenomeno è legato al riscaldamento globale catalizzato dai cambiamenti climatici. Siamo dunque innanzi a una conseguenza positiva di uno dei più grandi problemi che sta affliggendo il nostro pianeta.

Ad annunciare il minimo storico del buco dell'ozono sono state con un comunicato stampa congiunto la NASA e l'Amministrazione nazionale oceanica ed atmosferica (National Oceanic and Atmospheric Administration – NOAA), un'agenzia federale statunitense che monitora clima, fenomeni meteo e oceanografici. Il valore è il più basso dal 1982 ad oggi, ma come indicato non è legato al processo di restringimento progressivo per il bando alle sostanze responsabili dell'aggressione all'ozonosfera (come i clorofluorocarburi), bensì all'anomalo aumento delle temperature determinato dalle attività antropiche. Proprio nella fascia in cui si trova lo strato di ozono, a circa 20 chilometri di altezza dalla superficie terrestre, gli scienziati hanno registrato una temperatura di ben 29° centigradi superiore rispetto alla media.

Per comprendere meglio l'impatto del riscaldamento globale sull'ozonosfera è doveroso fare un cenno su come si forma il buco e quali sono le sue “funzioni”. Ogni anno sul finire dell'inverno australe tornano forti e alti i raggi del Sole, che danno vita alle reazioni chimiche in grado di ampliare la voragine nell'ozonosfera; quest'ultima è uno strato di un composto formato da tre atomi di ossigeno (O3) che funge da vero e proprio scudo contro i raggi ultravioletti prodotti dalla stella, che possono innescare cancro della pelle e altre patologie. In parole semplici, composti chimici immessi nell'atmosfera dalle attività antropiche – come cloro e bromo – reagiscono con i raggi solari e distruggono l'ozono dando vita al buco. Le reazioni si verificano sulle nuvole nella stratosfera. In presenza di temperature elevate scatenate dai cambiamenti climatici si formano meno nuvole e di conseguenza viene distrutto meno ozono; ecco perché quest'anno è stata stata osservata una riduzione così sensibile nell'estensione del buco.

Da quando è entrato in vigore il bando contro le sostanze chimiche responsabili dell'apertura della voragine, grazie al Protocollo di Montreal del 1987, gli scienziati hanno osservato una sua progressiva riduzione, ma si ritiene tornerà ai livelli degli anni antecedenti alla crisi soltanto attorno al 2070. Adesso sarà necessario valutare l'impatto dei cambiamenti climatici su queste stime.

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