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Covid 19

L’idrossiclorochina contro il Covid “non è sicura”: lo studio messo in dubbio da 120 ricercatori

In una lettera aperta a The Lancet e agli autori della ricerca che ha spinto l’Oms a sospendere la sperimentazione clinica, la preoccupazione degli esperti: “Non rispettata la metodica standard dell’analisi statistica dei dati”. Chiesta una validazione indipendente oltre alla pubblicazione dei commenti di peer review.
A cura di Valeria Aiello
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Più di 120 ricercatori e medici di tutto il mondo hanno sottoscritto una lettera aperta indirizzata a The Lancet e agli autori dello studio scientifico che ha spinto l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) a sospendere la sperimentazione clinica dell’idrossiclorochina per il trattamento dell’infezione da coronavirus.

L'idrossiclorochina contro il Covid-19 "non è sicura"

Lo studio [1], pubblicato lo scorso 22 maggio dalla rivista scientifica di Elsevier, ha riportato la possibile inefficacia del farmaco antimalarico nei pazienti con Covid-19, evidenziando che al trattamento era associato un aumentato rischio di complicazioni a livello cardiaco (aritmie ventricolari) in alcuni casi ad esito fatale. L’analisi è stata condotta su quasi 15.000 pazienti con Covid-19 ai quali è stato somministrato il farmaco da solo o in combinazione con antibiotici, confrontando i dati con un gruppo di controllo (oltre 81.000 pazienti) che non ha assunto il farmaco. In seguito ai risultati, la Columbia University degli Stati Uniti ha sollevato alcuni dubbi sul modello statistico utilizzato, spingendo la Surgisphere, la società che gestisce il database dei pazienti arruolati nello studio, a rilasciare una dichiarazione pubblica a difesa dell'integrità dello studio stesso. Tuttavia, in seguito a tali dichiarazioni sono emersi ulteriori interrogativi sulla metodologia utilizzata.

Lo studio messo in dubbio da 120 ricercatori

La discussione ha coinvolto centinaia di esperti che hanno espresso tutte le loro incertezze in una lettera aperta [2], elencando in dieci punti le principali preoccupazioni. “Gli autori – si legge nella lettera – non hanno rispettato le metodiche standard nell’apprendimento automatico dei dati e nelle statistiche di comunità […]. Non c’è stata alcuna revisione etica”.

L’aggiustamento dei fattori confondenti noti (gravità della malattia, effetti temporali, dosi utilizzate…) è inadeguato”. E ancora: “Non sono indicati i Paesi (nello studio è specificata l’inclusione di pazienti per continente ma non per nazione, ndr) o gli ospedali che hanno fornito i dati e non c’è nessuna attestazione di tale contributo”. “I dati provenienti dell’Australia non sono compatibili con le relazioni governative (troppi casi per solo cinque ospedali e un numero di decessi in ospedale più alto di quanto registrato in tutto il Paese durante il periodo dello studio). In risposta, la Surgisphere ha quindi dichiarato che si trattava di un errore di classificazione di un ospedale dell’Asia. Ciò indica la necessità di un ulteriore controllo degli errori in tutto il database”.

I dati provenienti dall’Africa – prosegue la lettera – indicano che quasi il 25% di tutti i casi di Covid-19 e il 40% di tutti i decessi si è verificato in ospedali associati a Surgisphere che avevano sofisticati strumenti di registrazione elettronica dei dati e di monitoraggio dei pazienti in grado di individuare e registrare la ‘non sostenuta (almeno 6 secondi) o sostenuta tachicardia ventricolare o fibrillazione ventricolare’. Sia il numero di casi e di decessi, sia la raccolta dettagliata dei dati, sembrano improbabili”. Inoltre, le “dosi medie giornaliere di idrossiclorochina sono di 100 mg superiori alle raccomandazioni FDA statunitense, mentre il 66% dei dati proviene da ospedali del Nord America”. “Il rapporto tra l’uso di clorochina e idrossiclorochina in alcuni continenti non è plausibile”. “Gli intervalli di confidenza al 95% riportati per i fattori di rischio sono improbabili. Ad esempio, per i dati australiani, comporterebbe circa il doppio del numero dei decessi come riportati nel documento”. La lettera esprime preoccupazioni anche in merito alle “variazioni insolitamente ridotte segnalate negli indicatori iniziali, negli interventi e nei risultati tra continenti nonostante differenze significative nei dati demografici”.

Nella lettera le richieste all'OMS e a The Lancet

Data la grande importanza e l’influenza avuta dai risultati di questo studio, i firmatari della lettera ritengono che sia imperativo che “la società Surgisphere fornisca informazioni dettagliate circa la provenienza dei dati, condividendo almeno i numeri aggregati dei pazienti a livello ospedaliero” oltre a considerare indispensabile “una validazione indipendente dell’analisi da parte di un gruppo di ricercatori convocato dall’Oms o da un’altra istituzione indipendente e autorevole. Ciò produrrebbe ulteriori indagini – la determinazione, ad esempio, della presenza di effetti rispetto alla dose somministrata – per verificare la validità delle conclusioni”.

Nell’interesse della trasparenza –  concludono i 120 firmatari – chiediamo a The Lancet di rendere pubblici i commenti di peer review che hanno portato questo lavoro ad essere accettato per la pubblicazione”. La stessa The Lancet aveva già sottoscritto un’ulteriore dichiarazione [3] sulla condivisione dei dati relativi agli studi sul coronavirus “invitando i ricercatori, le riviste e i finanziatori a garantire che i risultati siano condivisi apertamente e rapidamente per fornire una risposta sanitaria pubblica e contribuire a salvare vite umane”.

[1] Mehra MR et al. Hydroxychloroquine or chloroquine with or without a macrolide for treatment of COVID-19: a multinational registry analysis. The Lancet 2020 May 22. Doi: https://doi.org/10.1016/S0140-6736(20)31180-6;
[2] Watson J et al. An open letter to Mehra et al and The Lancet. Zenodo 2020 May 28. Doi: https://doi.org/10.5281/zenodo.3862789
[3] Sharing research data and findings relevant to the novel coronavirus (COVID-19) outbreak. Wellcome 2020 Jan 31. Press release.

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