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Covid 19

I vaccini di Pfizer e Moderna sono efficaci contro la variante inglese del coronavirus?

Una delle preoccupazioni maggiori legate alla diffusione della variante inglese “B.1.1.7” del coronavirus SARS-CoV-2, considerata più trasmissibile del 70 percento rispetto a quella tipica, è relativa all’efficacia dei vaccini anti COVID, in particolar modo quelli di Moderna e Pfizer, i primi approvati in Occidente. Ecco cosa dicono gli esperti.
A cura di Andrea Centini
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I virus mutano naturalmente replicandosi nell'ospite, e il coronavirus SARS-CoV-2 non fa eccezione. Come specificato dagli scienziati del COVID-19 Genomics UK (COG-UK), da quando è emerso in Cina il patogeno ha accumulato 1 o 2 mutazioni al mese, dando vita a migliaia di varianti, cinque delle quali sono presenti in Italia. Nonostante il grande numero di ceppi, l'esperta di Genomica Microbica Lucy van Dorp dell'Università della California di Los Angeles ha affermato che essi differiscono gli uni dagli altri per un “piccolo numero di mutazioni definitive”, e dunque sussiste una "ridotta diversità genomica". Tuttavia dal 20 settembre è stata identificata la cosiddetta variante inglese – chiamata B.1.1.7 – che presenta caratteristiche definite “senza precedenti” dai ricercatori di COG-UK. La ragione risiede nelle 17 mutazioni (14 amminoacidiche e 3 delezioni) sviluppate contemporaneamente, che ne avrebbero catalizzato la trasmissibilità rispetto al ceppo originale. Secondo le stime la variante sarebbe del 70 percento più contagiosa. Il rischio è che le suddette mutazioni – 8 delle quali concentrate sulla proteina S o Spike – possano non solo rendere la malattia più o meno pericolosa, ma anche rendere inefficace l'azione dei vaccini, eludendone l'azione protettiva. Questo proprio perché la maggior parte di essi è sviluppata per determinare immunità contro la proteina S.

Al momento esistono due vaccini anti COVID approvati in Occidente, il “BNT162b2” messo a punto dal colosso farmaceutico Pfizer in collaborazione con la società di biotecnologie tedesca BioNTech e l'mRNA-1273, sviluppato dall'azienda biotecnologica Moderna Inc. e dal National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID) guidato da Anthony Fauci. Entrambi sono disponibili per l'uso di emergenza negli Stati Uniti, mentre in Europa, al momento, è stato approvato il solo BNT162b2, le cui prime somministrazioni partiranno dal 27 dicembre nei Paesi della UE. Le aziende coinvolte hanno assicurato di aver avviato dei test per verificare se le preparazioni risultano efficaci anche contro la variante inglese B.1.1.7, e anche solo il fatto di aver rilasciato questa comunicazione suggerisce che il dubbio c'è, benché molti scienziati ritengano improbabile che il ceppo sia in grado di eludere i vaccini. “Sulla base dei dati fino ad oggi, ci aspettiamo che l'immunità indotta dal vaccino Moderna sia protettiva contro le varianti recentemente descritte nel Regno Unito”, ha dichiarato Moderna Inc in una nota, aggiungendo che verranno effettuati ulteriori test nelle prossime settimane al fine di “confermare questa aspettativa”. Pfizer sta invece raccogliendo dati per verificare se i campioni di sangue delle persone immunizzate col BNT162b2 siano in grado di neutralizzare anche la variante inglese.

Durante la sperimentazione clinica sia l'mRNA-1273 che il BNT162b2 sono risultati essere efficaci contro numerose varianti del coronavirus, ma come sottolineato nello studio “Preliminary genomic characterisation of an emergent SARS-CoV-2 lineage in the UK defined by a novel set of spike mutations” non abbiamo a che fare con i soliti lignaggi poco mutati. È facile intuirlo anche solo dalla decisione di bloccare i voli con il Regno Unito. Basti pensare che la scorsa estate circolava un altro ceppo mutato in Spagna che si riteneva anch'esso responsabile di una maggiore trasmissibilità, ma non furono prese iniziative analoghe. Gli scienziati predicano comunque cautela e buon senso, avendo bisogno di tempo per analizzare i dati e avere certezze sulle caratteristiche della variante inglese.

Il presidente del Consiglio Superiore di Sanità, il professor Franco Locatelli, in un'intervista a SkyTG 24 ha affermato di ritenere assai improbabile che la variante inglese renda inefficace il vaccino. “I vaccini determinano la formazione di una risposta immunitaria contro diversi ‘pezzettini', chiamiamoli così, della proteina Spike. Se anche c'è una mutazione in uno, due o tre ‘pezzettin' della proteina Spike, è altamente improbabile che il vaccino possa risultare inefficace”, ha specificato lo scienziato. Anche l'infettivologo Massimo Andreoni ritiene che la variante abbia “un impatto modesto sul vaccino”, e punta il dito contro i colleghi che hanno diffuso le notizie sulla variante inglese prima di avere dati scientifici certi. Lo studioso sostiene che le mutazioni a livello della proteina Spike non sembrano essere così significative, ma nel caso in cui lo fossero, dato che ormai si è capito come sviluppare i vaccini anti COVID sapremmo mettere a punto rapidamente una nuova preparazione efficace. Insomma, dobbiamo attendere le doverose verifiche di Moderna e Pfizer, ma senza isterismi e allarmismi. Cautela e buon senso sì, preoccupazione ingiustificata no.

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