I tuoi geni possono decidere se l’ebola è in grado di ucciderti
Nella maggior parte dei casi, almeno per quanto riguarda l'epidemia che sta flagellando l'Africa Occidentale, l’attacco da parte del virus dell’ebola porta all'insorgere di una violenta febbre emorragica accompagnata da disfunzioni negli organi e shock che si tramutano nel giro di pochi giorni in morte; per altri, il decorso della malattia non è fatale e, nonostante comporti gravissimi sintomi, le cure riescono a garantire la guarigione completa. Infine, pare che alcune persone risultino totalmente resistenti al virus: possibile? E in virtù di quale “segreto” esiste tale soggettiva variabilità di fronte all'infezione da ebola virus?
Lo studio in laboratorio
Se lo sono chiesti alcuni scienziati americani i quali, per studiare al meglio le caratteristiche dell’ebola, hanno infettato alcuni topi da laboratorio. I ricercatori della University of North Carolina presso Chapel Hill sono intervenuti su alcune cavie, ingegnerizzandole in modo che queste mostrassero gli stessi sintomi degli uomini una volta contratta l’infezione. I topi tipicamente usati in laboratorio, infatti, non sviluppano conseguenze quali la febbre emorragica o il collasso degli organi interni ma «Non si può cercare una cura per l’ebola senza avere un modello animale che riproduca lo spettro dei disturbi causati dal virus» ha osservato Ralph Baric, professore di epidemiologia presso la UNC School of Medicine e tra gli autori dello studio. Ci si era chiesto, infatti, se alcuni geni in particolare rendessero i topi immuni dal virus e se tali geni potessero essere sfruttati per comprendere per quale ragione si possa essere maggiormente suscettibile alla febbre emorragica da ebola. Quindi, lavorando in collaborazione con gli studiosi della University of Washington e del NIH Rocky Mountain National Laboratory, prima sono stati fatti accoppiare topi geneticamente eterogenei e, in seguito, le cavie sono state contagiate.
Resistenza genetica al virus
Il gruppo di ricerca ha avuto così modo di osservare che una particolare combinazione di geni darebbe luogo a una gamma di sintomi, arrivando persino ad identificare un singolo gene che giocherebbe un ruolo fondamentale, responsabile della codificazione di una proteina chiamata TEK la quale è coinvolta nell'attivazione dei fattori di coagulazione del sangue. Trascorsi pochi giorni dall'esposizione, infatti, dopo una fase iniziale durante la quale tutti avevano mostrato segnali di dimagrimento e malessere fisico, in alcuni esemplari si è attivata una risposta dell'organismo tale da portare non soltanto a sopravvivere al virus, ma anche a ristabilirsi completamente senza mostrare più sintomi o alterazioni al fegato, recuperando anche rapidamente il peso: è stato il caso del 19% dei topi. Un 11% delle cavie, invece, aveva un profilo genetico che mostrava una sorta di "resistenza parziale", tant'è che la metà di essi è deceduta a causa della malattia. Infine un buon 70% aveva un profilo genetico tale per cui ha manifestato i sintomi più gravi, febbre emorragica e problemi alla coagulazione del sangue, con un tasso di mortalità che ha superato il 50%: tra questi, circa il 20% ha sviluppato infiammazioni epatiche in assenza di sintomi da ebola tipici, ma il 34% aveva disfunzioni evidenti nella coagulazione, con conseguenti sanguinamenti interni, milza ingrossata e mutamenti nel colore e nella consistenza del fegato.
Il lavoro, i cui dettagli sono stati resi noti attraverso un paper pubblicato da Science, ha il merito di evidenziare la possibilità che la genetica giochi un ruolo fondamentale nell'infezione da ebola virus: meglio ancora sarebbe se tali conclusioni potessero servire a mettere a punto nuove terapie e, soprattutto, il tanto sospirato vaccino che avrebbe potuto evitare quel «disastro biologico» che non accenna ad arrestarsi.