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I ‘proiettili’ esistono da 77.000 anni: scoperti in Sudafrica quelli dell’Età della Pietra

Rinvenuti nella cava di Sibudu in Sudafrica decine di ‘proiettili’ risalenti all’Età della pietra. I dettagli delle incisioni, con dentellature e seghettature peculiari, dimostrano che già decine di migliaia di anni fa si utilizzavano tecniche costruttive estremamente efficaci e letali.
A cura di Andrea Centini
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Ricercatori dell'Università di Liegi (Belgio) hanno rinvenuto nel sito sudafricano di Sibudu decine di frammenti di roccia risalenti alla cosiddetta Età della pietra media (MSA), tutti modellati e incisi per essere trasformati in veri e propri proiettili da lancio. I numerosi reperti risultano particolarmente affascinanti non solo perché spostano indietro la datazione della creazione e dell'uso di tali strumenti, ora stimata in circa 77mila anni fa, ma anche perché presentano caratteristiche peculiari che dimostrano processi costruttivi e tecniche incisorie particolarmente raffinate ed efficaci.

La cava di Sibudu dove sono stati trovati i reperti
La cava di Sibudu dove sono stati trovati i reperti

Gli studiosi, coordinati dalla dottoressa Veerle Rots, docente di Archeologia presso l'ateneo belga ed esperta di preistoria, hanno analizzato 25 di questi frammenti e li hanno messi a confronto con alcuni campioni fatti preparare per la ricerca da un esperto incisore, al fine di far emergere l'approccio adottato dai nostri lontani antenati e la loro comprensione di elementi di fisica balistica. Dai dettagli si percepisce che essi fossero in una fase di piena “sperimentazione”, applicando tecniche piuttosto avanzate per ottenere proiettili mortali da agganciare a lance e frecce, utili non solo per essere scagliati sulla selvaggina ma anche contro potenziali rivali.

I proiettili sperimentali per il confronto con quelli recuperati nella cava in Sudafrica
I proiettili sperimentali per il confronto con quelli recuperati nella cava in Sudafrica

Molti di questi proiettili presentano dentellature, bordi seghettati e incisioni per migliorarne gli effetti di penetrazione e l'aerodinamica, mentre alcuni hanno addirittura una doppia faccia. Il dettaglio suggerisce che gli uomini preistorici dell'Africa meridionale utilizzassero calore e pressione (probabilmente con una sorta di compressore rudimentale fatto di ossa) per modellare al meglio le proprie armi, sulle quali sono state rinvenute tracce di animali e vegetali, oltre che fratture determinate da impatti e usura. La maggior parte ha anche una sorta di ‘manico' necessario per fissarli con materiale adesivo a supporti di legno utilizzati per il lancio, come ad esempio un arco. Gli studiosi belgi hanno bisogno di ulteriori analisi per capire esattamente la datazione di tutti i reperti, ma i primi risultati dimostrano quanto già fossimo abili (e letali) nella manipolazione degli oggetti in tempi particolarmente remoti. Alla luce di quanto emerso non sembra implausibile che l'uomo possa aver giocato un ruolo importante nell'estinzione di diverse specie animali vissute all'epoca. I dettagli dello studio sono stati pubblicati sulla rivista scientifica PloS ONE.

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[Foto di Università di Liegi]

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