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I primi topi nati in laboratorio senza fecondazione (e solo dallo spermatozoo)

L’esperimento degli scienziati dell’università inglese di Bath apre a nuovi scenari che, però, per il momento sono ancora molto teorici.
A cura di Nadia Vitali
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Si può mettere al mondo della prole senza ricorrere all'ovulo e, quindi, soltanto a partire dallo spermatozoo? Per il momento decisamente no – siamo ancora nell'ambito della fantascienza o, se preferite, del cinematografico – ma gli scienziati del dipartimento di biologia e biochimica dell'università di Bath, in Inghilterra, sono riusciti, per la prima volta, ad ottenere dei topi sani partendo solo dagli spermatozoi dell'animale e iniettandoli in un embrione "saltando" il processo di fecondazione e, quindi, in assenza della cellula uovo.

Lo studio è stato pubblicato da Nature Communications e, nell'opinione dei suoi autori, “sfida un dogma vecchio due secoli” secondo il quale soltanto una cellula uova fecondata possa attivare il processo di riproduzione. In realtà, ha spiegato all'ANSA il direttore del Laboratorio di Biologia dello sviluppo dell'Università di Pavia, Carlo Alberto Redi, non si può dire che quello avvenuto sia un vero e proprio processo di partenogenesi (la "riproduzione verginale") al maschile, come lo hanno definito gli scienziati inglesi: “Come essi stessi dichiarano, hanno usato ovociti per produrre dei partenoti, ossia cellule uovo indotte a svilupparsi come se fossero state fecondate”. Il nucleo degli spermatozoi, infatti, è stato trasferito nei partenoti che contengono una solo serie cromosomica, anziché le due che vengono generate dalla fusione di spermatozoo e cellula uovo e che, normalmente, saranno dell'embrione e di tutte le cellule dell'individuo che poi nascerà. In questo caso, quindi, la doppia serie si è creata a partire dal nucleo dello spermatozoo e dal partenote, saltando sostanzialmente il processo di fecondazione. Il risultato è stata una prole sana, con un tasso di successo pari al 24%: se sembra poco, si pensi che con la clonazione le probabilità di riuscita si aggirano attorno al 2%.

Si capisce che la scoperta potrebbe rappresentare una fonte di grandi questioni di natura etica; certamente non per il momento – si intende – ma in un futuro lontano, qualora la partenogenesi umana diventasse realmente possibile e ci si potesse servire, ad esempio, semplicemente di cellule della pelle di un adulto. Al tempo stesso, però, lo studio potrebbe avere importanti applicazioni nel campo del trattamento della fertilità umana o – chissà – per favorire la riproduzione di specie animali minacciate: per entrambi i casi, comunque, i ricercatori specificano che i tempi sono ancora decisamente immaturi. Nonostante il buon risultato, quindi, è ancora troppo presto per parlarne in maniera concreta ma, per dirla con le parole del dottor Paul Colville-Nash, del Medical Research Council (MRC) che ha finanziato il lavoro “Questo è un eccitante frammenti di ricerca che potrebbe aiutare a comprendere molto a proposito del modo in cui inizia la vita umana”.

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