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Covid 19

I pazienti Covid hanno un rischio di trombosi 8 volte superiore di chi si vaccina con AstraZeneca

Mettendo a confronto l’incidenza di casi di trombosi venosa cerebrale (CVT) osservata tra i vaccinati con AstraZeneca e i pazienti contagiati dal coronavirus SARS-CoV-2, un team di ricerca guidato da scienziati dell’Università di Oxford ha determinato che la COVID-19 induce un rischio di coaguli di sangue otto volte maggiore rispetto al farmaco.
A cura di Andrea Centini
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Come dimostrato da scienziati italiani dell’Università Bicocca di Milano e dell’Ospedale San Gerardo di Monza, il coronavirus SARS-CoV-2 può aggredire direttamente il tessuto endoteliale dei vasi sanguigni determinando la formazione di coaguli di sangue. Un'altra indagine guidata da ricercatori della Scuola di Medicina “Long Island” dell'Università di New York ha rilevato questi trombi nei tessuti e negli organi di tutti i pazienti coinvolti nello studio e sottoposti ad autopsia dopo essere deceduti per COVID-19, l'infezione provocata dal patogeno pandemico. La trombosi è considerata una complicazione piuttosto diffusa nei pazienti Covid, che in alcuni casi può interessare anche il cervello. Secondo una nuova ricerca, la trombosi venosa cerebrale (CVT) si verifica in circa 40 pazienti ogni milione di casi di COVID-19; ciò significa che presenta un'incidenza otto volte superiore rispetto a quella osservata nelle persone vaccinate col “Vaxzevria”, il vaccino della società biofarmaceutica anglo-svedese AstraZeneca. Sempre in base alla stessa indagine, infatti, tale forma di trombosi è stata rilevata in cinque vaccinati per milione di somministrazioni.

A determinare che la COVID-19 determina un rischio di trombosi cerebrale sensibilmente superiore a quella del vaccino anti Covid di AstraZeneca è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati del Dipartimento di Psichiatria e del Dipartimento di Neuroscienze Cliniche dell'Università di Oxford, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dell'Oxford Health NHS Foundation Trust e della società TriNetX di Cambridge (Stati Uniti d'America). Va ricordato che il vaccino di AstraZeneca è stato messo a punto proprio dall'ateneo britannico, in particolar modo dai ricercatori dello Jenner Institute, in collaborazione con i colleghi italiani della società di biotecnologie Advent-Irbm di Pomezia (Roma). I ricercatori, guidati dal professor Paul Harrison, docente di Psichiatria e capo del gruppo di Neurobiologia traslazionale dell'Università di Oxford, non si sono “limitati” a confrontare il rischio di trombosi cerebrale tra vaccino di AstraZeneca e COVID-19, ma hanno coinvolto nell'indagine anche i dati relativi ai vaccini a RNA messaggero (mRNA) di Pfizer-BioNTech e Moderna Inc., oltre a quelli sulla popolazione generale.

Incrociando tutti i dati è emerso che contraendo l'infezione da coronavirus SARS-CoV-2 il rischio di sviluppare una trombosi venosa cerebrale è cento volte superiore rispetto al basale (popolazione generale) e dalle 8 alle 10 superiore rispetto all'uso dei vaccini anti Covid approvati per l'uso di emergenza. Come sottolineato in un comunicato stampa dell'Università di Oxford, il 30 percento dei casi di trombosi venosa cerebrale rilevati nei pazienti Covid riguarda i giovani. Nello studio sono stati coinvolti i dati di oltre 500mila pazienti contagiati dal coronavirus, fra i quali la CVT ha avuto un'incidenza di 39 casi ogni milione. Tra gli oltre 480mila vaccinati con un vaccino a mRNA (Pfizer o Moderna), la CVT si è invece verificata in quattro pazienti per milione di inoculazioni; l'incidenza è invece salita a cinque casi ogni milione di inoculazioni per il vaccino Vaxzevria di AstraZeneca. Riassumendo, il rischio di una trombosi cerebrale da COVID-19 è circa dieci volte maggiore rispetto alla vaccinazione con un vaccino a mRNA e otto volte maggiore rispetto alla vaccinazione con l'AstraZeneca. “Tuttavia, tutti i confronti devono essere interpretati con cautela poiché i dati continuano ad accumularsi”, scrivono gli scienziati dell'ateneo britannico, che non hanno coinvolto nell'analisi il vaccino di Johnson & Johnson, anch'esso sospeso in via cautelare per eventi tromboembolici.

“Ci sono preoccupazioni circa le possibili associazioni tra vaccini e CVT, che inducono i governi e le autorità regolatorie a limitare l'uso di determinati vaccini. Tuttavia, una domanda chiave è rimasta senza risposta: ‘Qual è il rischio di CVT a seguito di una diagnosi di COVID-19?'”, ha affermato il professor Harrison in un comunicato stampa. “Siamo giunti a due importanti conclusioni. In primo luogo – spiega lo scienziato – la COVID-19 aumenta notevolmente il rischio di CVT, aggiungendosi all'elenco dei problemi di coagulazione del sangue causati da questa infezione. In secondo luogo, il rischio della COVID-19 è più alto di quello che vediamo con gli attuali vaccini, anche per gli under 30; qualcosa che dovrebbe essere presa in considerazione quando si considera il rapporto tra rischi e benefici per la vaccinazione”, ha aggiunto Harrison, facendo chiaro riferimento alle limitazioni per gli under 60-55 che hanno deciso per il vaccino di AstraZeneca diversi Paesi europei (Italia compresa).

Nonostante i numeri citati dall'Università di Oxford paiano piuttosto esplicativi, diversi scienziati predicano cautela sul fare determinati confronti generalizzati sul rischio trombosi. Alcuni, ad esempio, hanno rilevato che la pillola anticoncezionale provoca coaguli di sangue in 4-16 donne ogni 10mila che la assumono; anche un semplice viaggio in aereo può essere sensibilmente più rischioso per un evento tromboembolico rispetto al vaccino anti Covid. I confronti diretti, come sottolineato dal professor Paolo Madeddu, docente di Medicina Cardiovascolare Sperimentale presso l'Università di Bristol, vanno fatti con criterio. “Il problema principale qui (in riferimento alla ricerca di Oxford NDR) è che il confronto che mostra il rischio più elevato per Covid-19 non esclude la possibilità che la patogenesi sia la stessa e quindi si dovrebbe cercare un denominatore comune. Ad esempio – aggiunge l'esperto -, se il meccanismo è lo stesso, si può ipotizzare che la maggiore prevalenza di casi legati alla COVID-19 rispetto alla vaccinazione sia dovuta al fatto che l'intero virus è più trombogenico della sola proteina spike". "Questi studi sono importanti – conclude Madeddu – ma sembrano essere focalizzati sulla dimostrazione del minor rischio della vaccinazione invece di sforzarsi di spiegare la causa delle complicanze, sfruttando le somiglianze degli eventi nelle due popolazioni”. Lo studio “Cerebral venous thrombosis: a retrospective cohort study of 513,284 confirmed COVID-19 cases and a comparison with 489,871 people receiving a COVID-19 mRNA vaccine” dell'Università di Oxford non è ancora stato sottoposto a revisione paritaria, ma è possibile consultarlo cliccando sul seguente link.

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