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Covid 19

I macachi contagiati dal coronavirus e poi guariti non si riammalano: sono protetti dagli anticorpi

Scienziati cinesi hanno dimostrato che l’infezione primaria da coronavirus SARS-CoV-2 determina la produzione di anticorpi neutralizzanti in grado di proteggere da una nuova infezione, perlomeno nei macachi rhesus. Le scimmie, dopo la guarigione dalla COVID-19, quando esposte nuovamente al coronavirus non si sono riammalate.
A cura di Andrea Centini
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Cellule aggredite dal coronavirus SARS-CoV-2 (in verde). Credit: Istituto Nazionale per le Allergie e le Malattie infettive/NIH
Cellule aggredite dal coronavirus SARS-CoV-2 (in verde). Credit: Istituto Nazionale per le Allergie e le Malattie infettive/NIH
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Dopo essere stati contagiati dal coronavirus SARS-CoV-2, una volta guariti i macachi non si ammalano nuovamente se esposti una seconda volta al patogeno emerso in Cina. In alti termini, l'infezione scatenata dal coronavirus – chiamata COVID-19 – determina la produzione di anticorpi neutralizzanti in grado di contrastare la reinfezione. Perlomeno a breve termine. Si tratta di un dettaglio da non sottovalutare, dato che ad oggi ancora non è chiaro se e per quanto tempo l'infezione protegga da successive esposizioni al SARS-CoV-2. Va comunque tenuto presente che le scimmie, pur essendo primati come noi, naturalmente non sono esseri umani, pertanto i risultati ottenuti da questi test di laboratorio non possono essere presi per certi. È tuttavia significativo che la risposta immunitaria inneschi l'immunità nei modelli animali.

A determinare che la COVID-19 determini immunogenicità nelle scimmie, e in particolar modo nei macachi rhesus (Macaca mulatta), è stato un team di ricerca cinese guidato da scienziati dell'Istituto di Scienze Animali, dell'Accademia cinese di Scienze Mediche e del Centro di medicina comparata presso il Peking Union Medical College di Pechino, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Radiologia dell'Ospedale Anzhen di Pechino, affiliato alla Capital Medical University. Gli scienziati, coordinati dal professor Wei Deng del Laboratorio chiave per i modelli animali di malattie infettive emergenti e recidivanti, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver condotto una serie di analisi su sette macachi, tutti adulti con un'età compresa tra i 3 e i 5 anni.

Gli scienziati hanno raccolto i dati sui tratti clinici, patologici, virali e immunologici delle scimmie alla prima esposizione al coronavirus SARS-CoV-2 e alla seconda, avvenuta 28 giorni dopo. Dalle osservazioni è emerso chiaramente che in seguito alla guarigione dall'infezione primaria gli anticorpi hanno fatto il proprio dovere, proteggendo i primati da una nuova infezione. Il primo contagio aveva determinato nei macachi una polmonite bilaterale interstiziale e “diffusione virale sistemica”, con replicazione particolarmente significativa rilevata nelle alte vie respiratorie e nell'apparato digerente, come mostrato dalle analisi dei tamponi rino-faringei e rettali. Quando sono state esposte nuovamente al virus, durante il periodo della convalescenza, le scimmie “non hanno mostrato diffusione virale rilevabile, manifestazioni cliniche di malattia virale o cambiamenti istopatologici”, hanno scritto Wei e colleghi nell'abstract del proprio studio. Test di laboratorio hanno inoltre evidenziato un miglioramento nelle risposta immunitaria e nella concentrazione degli anticorpi neutralizzanti tra l'infezione primaria e quella definita “rechallenge” dai ricercatori.

In conclusione, i risultati della ricerca indicano che i macachi rhesus non si riammalano di COVID-19 dopo essere stati colpiti una prima volta. Tuttavia non è dato sapere quanto tempo duri questa protezione e se questa immunogenicità si determini anche nell'essere umano. I dettagli della ricerca “Primary exposure to SARS-CoV-2 protects against reinfection in rhesus macaques” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica Science.

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