I gatti infettati dal coronavirus sconfiggono la malattia e non contagiano l’uomo
Nonostante la diffusione sempre maggiore del coronavirus SARS-CoV-2, che in base alla mappa interattiva realizzata dall'Università Johns Hopkins ad oggi ha contagiato oltre 32 milioni di persone nel mondo, le infezioni rilevate negli animali domestici sono ancora in numero molto contenuto, pertanto gli amici a quattro zampe svolgono “un ruolo trascurabile nell'epidemiologia” della malattia, come sottolineato dagli scienziati spagnoli dall'Istituto di ricerca e tecnologia agroalimentare (IRTA). Ciò, tuttavia, non significa che non possano restare contagiati, come dimostra la storia di Negrito, il primo gatto ufficialmente positivo al coronavirus in Spagna. Grazie allo studio del suo caso, gli scienziati non solo hanno dimostrato che i gatti possono essere contagiati dai padroni, ma anche che riescono a superare agevolmente la malattia, senza manifestare sintomi. Inoltre, non è emersa alcuna prova che i felini possano infettare le persone.
A descrivere nel dettaglio il caso di Negrito è stato un team di ricerca spagnolo coordinato proprio dagli scienziati dell'IRTA, che hanno collaborato con i colleghi dell'Ospedale Veterinario Saint Mori di Badalona, dell'Università Autonoma di Barcellona, dell'IrsiCaixa AIDS Research Institute, del Germans Trias i Pujol Research Institute e del Supercomputing Center di Barcellona. Tutto ha avuto inizio nel mese di maggio, quando in una famiglia spagnola sono stati diagnosticati diversi contagi da coronavirus SARS-CoV-2. Purtroppo un membro del nucleo famigliare è deceduto per l'infezione. Poiché nello stesso periodo uno dei due gatti della famiglia (Negrito) ha iniziato a sviluppare una severa difficoltà respiratoria, si è immediatamente pensato che anche il felino fosse stato contagiato dal patogeno, e così è stato portato in una clinica veterinaria per tutte le verifiche del caso.
Sottoposto a tampone, Negrito è risultato debolmente positivo al coronavirus, così come l'altro gatto della famiglia (Whisky), che tuttavia non manifestava alcun sintomo dell'infezione. Gli scienziati hanno pensato che la sua condizione di salute, aggravatasi rapidamente, fosse causata proprio dal patogeno. A causa della grande sofferenza che stava sperimentando, i veterinari hanno deciso di sopprimerlo con l'eutanasia. Negrito sembrava essere il primo gatto domestico ucciso dal coronavirus, ma l'esame necroscopico (l'autopsia) ha riservato una grande sorpresa agli scienziati guidati dalla dottoressa Julià Blanco. Il gatto di 4 anni, infatti stava morendo per una cardiomiopatia ipertrofica felina, che era la causa delle sue gravi difficoltà respiratorie, e non il coronavirus.
Entrambi i gatti sono stati sottoposti anche al test sierologico, che ha rilevato la presenza di anticorpi neutralizzanti. Ciò significa che tutti e due i mici avevano combattuto e vinto la battaglia contro il SARS-CoV-2, senza sperimentare sintomi ascrivibili all'infezione. Uno degli aspetti più interessanti della ricerca spagnola risiede nel confronto tra il profilo genetico del virus prelevato dal padrone deceduto e quello di Negrito; come specificato dal dottor Marc Noguera-Julián, un coautore dell'indagine, è risultata una somiglianza del 99,9 percento. Pertanto gli scienziati ritengono che Negrito – così come Whisky – sia stato infettato proprio dai padroni. Anche se i gatti possono infettarsi fra di essi, come dimostrato da questo studio coordinato dalla Scuola di Medicina Veterinaria dell'Università del Wisconsin – Madison, i due felini non hanno avuto contatti con altri gatti, in base a quanto dichiarato dai proprietari, e questo dato rafforza la convinzione del contagio da parte degli umani. Fortunatamente, come dichiarato dalla dottoressa Júlia Vergara-Alert, “non ci sono prove di trasmissione del virus all'uomo”, e quello di Negrito “è un caso di zoonosi inversa, in cui i gatti sono le vittime secondarie senza che il virus causi loro problemi di salute”. I dettagli della ricerca “Detection of SARS-CoV-2 in a cat owned by a COVID-19−affected patient in Spain” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica PNAS.