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Covid 19

I farmaci anti COVID usati su Trump testati su cellule derivate da tessuti di feti abortiti

Il cocktail di anticorpi monoclonali “REGN-COV2” della società di biotecnologie Regeneron e l’antivirale Remdesivir della casa farmaceutica Gilead Sciences, entrambi alla base della terapia anti COVID con cui è stato trattato Trump, sono stati testati su linee cellulari derivate da tessuto fetale, estratto da feti abortiti diversi decenni fa.
A cura di Andrea Centini
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La terapia utilizzata dai medici per trattare l'infezione da coronavirus SARS-CoV-2 che ha colpito Donald Trump si basa su anticorpi monoclonali (semi-sintetici) e farmaci antivirali che sono stati testati su linee cellulari derivate da tessuto fetale. Più nello specifico, da tessuto estratto da feti abortiti. Non si tratta comunque di cellule “fresche”, dato che i tessuti originari furono prelevati dai feti decenni addietro, ma il coinvolgimento di questo materiale biologico nei test dei medicinali anti COVID apre una questione etica (e di convenienza elettorale) proprio per chi come Trump e altri conservatori si è sempre battuto contro l'uso di tessuto fetale. Non è un caso che nel 2019 è stata proprio l'amministrazione Trump a sospendere i fondi federali per larghissima parte di questo genere di sperimentazione, sottolineando di voler "promuovere la dignità della vita umana dal concepimento alla morte naturale". Ora è lo stesso presidente degli Stati Uniti a volere la “sua” terapia gratis per tutti gli americani, dopo averne sperimentato i benefici sulla propria pelle.

I farmaci utilizzati per trattare Trump, oltre allo steroideo desametasone, sono il cocktail di anticorpi monoclonali “REGN-COV2” sviluppato dalla società di biotecnologie Regeneron e l'antivirale Remdesivir della casa farmaceutica Gilead Sciences, originariamente concepito per combattere il virus Ebola e ora considerato una delle armi più efficaci contro la COVID-19 (l'infezione provocata dal coronavirus SARS-CoV-2). Sia gli anticorpi monoclonali che il Remdesivir sono stati testati su queste linee cellulari di derivazione fetale. Quelle oggi più utilizzate dai ricercatori si chiamano 293T e Per.C6; la prima, come sottolineato dal New York Times, deriva da tessuto renale di un feto abortito negli anni '70, mentre la seconda deriva da cellule della retina di un feto di 18 settimane, abortito a metà degli anni '80.

Gli anticorpi monoclonali di Regeneron sono stati testati proprio con le cellule 293T, per verificarne la capacità del cocktail di neutralizzare il coronavirus, come sottolineato dalla dottoressa Alexandra Bowie, portavoce dell'azienda. “Non sono stati utilizzati in altro modo e il tessuto fetale non è stato utilizzato nella ricerca”, ha aggiunto la donna. Anche l'antivirale Remdesivir è stato testato su questo tipo di linee cellulari. Ma la questione coinvolge anche i vaccini candidati; tra i 193 attualmente in sviluppo contro la COVID-19, come si evince dal documento “Draft landscape of COVID-19 candidate vaccines” dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, ce ne sarebbero almeno 13 coinvolti in questo tipo di ricerca. Anche le aziende farmaceutiche Moderna e AstraZeneca, dietro a due dei vaccini candidati più promettenti contro il coronavirus – il ChAdOx1 dell’Università di Oxford e l'mRNA-1273 – fanno uso di tali linee cellulari.

Benché ampiamente accettato dalla comunità scientifica, l'uso di cellule derivate da feti abortiti – anche se di decenni fa – potrebbe rappresentare un problema da non sottovalutare per l'elettorato più conservatore e religioso di Trump, col presidente che si è trovato a promuovere una terapia basata su un tipo di sperimentazione che ha ostacolato in ogni modo. Recentemente Regeneron ha fatto richiesta di autorizzazione all'uso di emergenza (EUA) per il proprio cocktail di anticorpi monoclonali alla FDA , e presto potrebbe diventare disponibile per migliaia di americani colpiti dalla COVID-19.

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