I danni al cervello da Covid-19 sono molto simili a quelli dell’Alzheimer
Oltre a cuore e polmoni, l’infezione da coronavirus Sars-Cov-2 può danneggiare anche il cervello, causando problemi neurologici che possono perdurare anche per parecchi mesi dopo la guarigione, tra cui perdita di memoria, difficoltà di concentrazione, mal di testa, perdita del gusto e dell’olfatto e la cosiddetta nebbia cerebrale, una condizione caratterizzata da sensazioni di annebbiamento mentale e di confusione che impediscono di essere lucidi e pronti.
Covid-19 e Alzheimer
A oltre un anno dallo scoppio della pandemia di Covid-19, i ricercatori stanno cercando di capire cosa sia responsabile di queste condizioni, avendo già escluso un attacco diretto del virus al cervello. Le autopsie condotte finora hanno infatti indicato che, ad eccezione di alcuni studi iniziali, Sars-Cov-2 non presente nei tessuti cerebrali, bloccato dalla barriera ematoencefalica che, di fatto, impedisce al patogeno di raggiungere il sistema nervoso centrale. Sarebbero dunque altri fattori a innescare l’infiammazione cerebrale, determinando l’insorgenza di sintomi che somigliano a quelle che si verificano a causa dell’invecchiamento e di varie malattie neurodegenerative.
A fare luce sui possibili responsabili di tali manifestazioni cliniche è un’ampia indagine molecolare condotta dai ricercatori della Stanford University che, analizzando campioni di tessuto cerebrale prelevati dalle autopsie di pazienti Covid-19 e confrontandoli con quelli di pazienti deceduti per altre cause, hanno rivelato l’attivazione di centinaia di geni in tutti i principali tipi di cellule del cervello, di cui molti associati a processi infiammatori, oltre a segni di sofferenza nei neuroni della corteccia cerebrale, la regione del cervello che svolge un ruolo chiave nel processo decisionale, nella memoria e nel ragionamento matematico.
“Gli strati più esterni della corteccia cerebrale dei pazienti morti di Covid-19 hanno mostrato cambiamenti molecolari che suggeriscono la soppressione della segnalazione da parte dei neuroni eccitatori, insieme a una maggiore segnalazione da parte dei neuroni inibitori, che agiscono come freni sui neuroni eccitatori – hanno rilevato gli studiosi – . Questo tipo di squilibrio di segnalazione è associato a deficit cognitivi e condizioni neurodegenerative come il morbo di Alzheimer”.
I risultati delle loro analisi, pubblicati nel dettaglio su Nature, indicano inoltre che alcune cellule immunitarie periferiche, chiamate cellule T, erano significativamente più abbondanti nel tessuto cerebrale dei pazienti Covid-19.
“L’infezione virale sembra innescare risposte infiammatorie in tutto il corpo che possono causare segnali infiammatori attraverso la barriera ematoencefalica che, a loro volta, potrebbero far scattare la neuroinfiammazione nel cervello – ha affermato il neurologo Tony Wyss-Coray della Stanford University e co-autore senior dello studio – . È probabile che molti pazienti Covid, in particolare quelli che riferiscono o manifestano problemi neurologici o quelli che sono ricoverati in ospedale, abbiano questi marcatori neuroinfiammatori riscontrati nelle nostre analisi nelle persone morte a causa della malattia”.