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Individuata la possibile causa della “nebbia mentale” post-Covid

L’insorgenza di uno dei sintomi più frequentemente riportati che può persistere anche per parecchi mesi dopo la guarigione potrebbe essere legata alla presenza di alti livelli citochine pro-infiammatorie nel liquido cerebrospinale: lo indica uno nuovo studio dei ricercatori del Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York che sostengono di aver individuato una possibile causa della condizione.
A cura di Valeria Aiello
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Tra i sintomi più frequentemente riportati e che può persistere a lungo nelle persone che hanno superato l’infezione da coronavirus Sars-Cov-2 c’è quello che alcuni neurologi e pazienti descrivono come “brain fog”, riferendosi alla sensazione di annebbiamento mentale e di lieve confusione che impedisce di essere lucidi e pronti. Caratterizzato dall’impressione di non riuscire a “pensare chiaramente”, a volte accompagnato da frequenti mal di testa e perdita della memoria a breve termine, questo sintomo può perdurare anche per parecchi mesi dopo la guarigione.

Alcuni studi hanno segnalato casi di persone che hanno avuto problemi ad associare il giusto nome alle cose, difficoltà di concentrazione e nel prendere le decisioni, ma fino ad oggi nessuna ricerca ha fornito una solida spiegazione dell’esatta causa di questo problema. Un nuovo studio su pazienti oncologici sostiene però di aver individuato un possibile responsabile di questa condizione, le citochine pro-infiammatorie nel liquido che protegge il cervello e il midollo osseo, il liquor cerebrospinale.

La possibile causa della "nebbia mentale" post-Covid

In questa nuova ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Cancer Cell, i ricercatori del Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York hanno analizzato il quadro clinico di diciotto pazienti oncologici risultati positivi al coronavirus e che successivamente hanno sviluppato sintomi neurologici da moderati a gravi. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a una serie di scansioni cerebrali (risonanza magnetica e tomografia computerizzata), a TC ed elettroencefalogramma (EEG), e in tredici hanno dato il consenso per la puntura lombare, la procedura per poter estrarre il liquido cerebrospinale.

L’analisi ha rivelato che i pazienti continuavano ad avere alti livelli di citochine pro-infiammatorie nel liquido cerebrospinale a quasi due mesi dall’infezione, suggerendo che il processo neuro-infiammatorio può persistere per settimane dopo la convalescenza. “Queste sequele neurologiche prolungate  – indicano i ricercatori – portano a disfunzione neurocognitiva a lungo termine.

D’altra parte, nel liquido cerebrospinale non è stato rilevato Rna virale di Sars-Cov-2, confutando alcune ipotesi sulla nebbia cerebrale che attribuivano i sintomi neurologici di Covid-19 direttamente all’infezione di Sars-Cov-2. “Sebbene alcuni casi clinici abbiano indicato la presenza del virus nel liquido cerebrospinale in alcuni pazienti gravemente malati, questi risultati non sono stati riportati in studi su larga scala” spiegano gli studiosi, osservando che il virus può non essere necessariamente la causa della nebbia mentale nella maggior parte delle persone.

Al contrario, la presenza di citochine nel liquido cerebrospinale indica che le cellule immunitarie sono in grado di attraversare la barriera emato-encefalica e penetrare nel sistema nervoso centrale, una condizione che secondo i ricercatori potrà fornire, tra l’altro, informazioni utili su come le cellule tumorali raggiungono il cervello.

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