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Covid 19

I bambini si ammalano meno di coronavirus, ma sono comunque contagiosi: lo indicano due ricerche

Una ricerca tedesca e una svizzera hanno osservato che il coronavirus SARS-CoV-2 si replica bene nelle alte vie respiratorie dei bambini, come negli adulti, e i campioni virali prelevati dai giovani pazienti e coltivati in laboratorio hanno il medesimo tasso di crescita di quelli dei “grandi”. Ne consegue che, sebbene i più piccoli si ammalano meno di COVID-19, hanno la stessa capacità di diffondere il virus e dunque di contagiare gli altri.
A cura di Andrea Centini
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Nelle cellule dei bambini il coronavirus SARS-CoV-2 si replica in modo efficace come negli adulti, pertanto la loro capacità di diffondere l'infezione, pur essendo interessati da sintomi più lievi nella stragrande maggioranza dei casi, sarebbero le medesime. Ciò significa che in luoghi di assembramento come scuole e asili nido il patogeno può circolare indisturbato ed essere trasferito a casa ai genitori, ai nonni e dunque ad altri adulti, sensibilmente più suscettibili alle complicazioni della patologia. Alla luce di questo scenario, aver chiuso immediatamente le scuole (e continuare a tenerle “serrate” fino a quando sarà necessario) per spezzare la catena dei contagi è stata una scelta saggia e doverosa, come sottolineato anche dal virologo Roberto Burioni nel proprio portale “MedicalFacts”. C'era infatti un forte dubbio legato all'impatto limitato della malattia sui bambini, ma poco malati a quanto pare non significa poco contagiosi, con tutto ciò che ne consegue in termini di diffusione della patologia.

È proprio sulla pagina ufficiale del noto medico e accademico pesarese che sono stati citati i due recenti studi esteri (uno tedesco e uno svizzero) che dimostrano l'identica capacità di replicazione del coronavirus SARS-CoV-2 negli adulti e nei più piccoli. Lo studio in Germania, “An analysis of SARS-CoV-2 viral load by patient age”, è stato condotto da scienziati dell'Istituto di Virologia Charité dell'Università di Berlino, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Centro per l'Evoluzione dei Patogeni del Dipartimento di Zoologia dell'Università di Cambridge (Regno Unito) e del Centro Tedesco per la Ricerca sulle Malattie Infettive (DZIF). I ricercatori, coordinati dal professor Christian Drosten, grazie ai tamponi rino-faringei hanno prelevato campioni biologici da 3.712 pazienti (adulti, adolescenti e bambini) con COVID-19, l'infezione causata dal coronavirus, e attraverso la tecnica chiamata reazione a catena della polimerasi inversa in tempo reale (RT-PCR) – che serve a rilevare l'RNA virale – hanno osservato che la quantità di virus è paragonabile in tutte e tre le fasce d'età. In parole semplici, il coronavirus si replica bene nelle alte vie respiratorie sia degli adulti che dei più giovani; ne consegue che sussisterebbe la medesima capacità di contagio, pur essendo bambini e adolescenti meno esposti al rischio di complicanze.

Lo studio preliminare svizzero “Shedding of infectious SARS-CoV-2 in symptomatic neonates, children and adolescents” certifica in qualche modo i risultati dell'indagine tedesca. Gli scienziati del Laboratorio di virologia e centro per le malattie virali emergenti presso l'Università di Ginevra hanno infatti rilevato che, coltivando in laboratorio campioni virali estrapolati da pazienti giovani, si riesce a farli crescere in circa la metà dei casi. Un risultato analogo è stato ottenuto con la carica virale degli adulti, quindi gli scienziati guidati dal professor Arnaud G L'Huillier suggeriscono che il virus replicato nelle vie respiratorie di adulti e bambini ha la medesima capacità di infettare. I dati pubblicati nel database MedrXiv sono comunque ancora da confermare, poiché da sottoporre a revisione paritaria, prima della pubblicazione su una rivista scientifica ad hoc.

Queste due indagini continuano a far luce sugli effetti del coronavirus nella popolazione più giovane, che sembrerebbe esposta anche a un rischio superiore di sviluppare la Malattia di Kawasaki, secondo alcune osservazioni preliminari. All'inizio della pandemia si pensava che bimbi e adolescenti fossero in qualche modo immuni alla COVID-19, ma col diffondersi dei contagi a livello globale si è visto che non è affatto così, con alcune vittime registrate anche in tenerissima età.

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