Gli uomini possono contagiare gli animali col coronavirus, ma non ci sono evidenze del contrario
Due cani e un gatto a Hong Kong, un gatto in Belgio e una tigre di quattro anni a New York. Sono solo questi quattro gli animali che ad oggi risultano ufficialmente positivi al coronavirus SARS-CoV-2, cui potrebbero aggiungersi altre tre tigri e tre leoni africani ospitati nello stesso giardino zoologico del Bronx dove si trova Nadia. I sei grandi felini, infatti, manifestano i medesimi sintomi da COVID-19, ovvero tosse secca e inappetenza, ma non sono stati ancora sottoposti al tampone come la prima tigre. In tutti questi casi gli animali sono stati contagiati dall'uomo. Per quanto riguarda quelli domestici gli "untori" sono stati i proprietari, risultati positivi al coronavirus, mentre i felini dello zoo newyorchese sarebbero stati infettati da un custode, anch'esso positivo al patogeno. Secondo la Wildlife Conservation Society (WCS) che gestisce lo zoo, li avrebbe infettati quando era ancora asintomatico.
A queste prime infezioni documentate vanno aggiunte quelle indotte in laboratorio, dove è stata dimostrata la suscettibilità all’infezione da SARS-CoV-2 di alcune specie domestiche. Nel caso specifico “del gatto, del furetto e, in misura minore, del cane”, come specificato dal professor Umberto Agrimi, direttore presso il Dipartimento sicurezza alimentare, nutrizione e sanità pubblica veterinaria dell'Istituto Superiore di Sanità (ISS). Alla luce di queste osservazioni, qualcuno potrebbe ipotizzare che cani, gatti e altri animali siano in grado di trasmettere il coronavirus alle persone, ma il Ministero della Salute sottolinea che al momento non ci sono evidenze scientifiche sulla possibilità che gli animali da compagnia possano farlo. “Non esiste alcuna evidenza che gli animali domestici giochino un ruolo nella diffusione di SARS-CoV-2 che riconosce, invece, nel contagio interumano la via principale di trasmissione”, ha dichiarato anche il professor Agrimi in apertura di un suo recente articolo, pubblicato sul sito dell'ISS.
La COVID-19 fa tuttavia parte delle cosiddette zoonosi, cioè delle malattie trasmesse da animale all'uomo (come ben oltre la metà di tutte le patologie note), della quale tuttavia non si conosce la specie coinvolta. O meglio, esattamente come il SARS-CoV e il MERS-CoV, i coronavirus della SARS e della MERS, anche il SARS-CoV-2 in origine circolava in pipistrelli, probabilmente del genere Rhinolophus. Non è chiaro se il salto di specie all'uomo o spillover (che secondo uno studio italiano si sarebbe verificato a Wuhan tra il 20 e il 25 novembre) sia avvenuto direttamente attraverso un pipistrello o con una specie serbatoio intermedia, come avvenuto per SARS e MERS. Nel primo caso fu lo zibetto, nel secondo caso il dromedario. Per quanto concerne la COVID-19, la specie ritenuta più probabile è il pangolino, dove sono stati trovati coronavirus affini a quello responsabile della pandemia. Benché la malattia sia passata all'uomo da un animale selvatico, non sono noti casi di contagio al di fuori di quello che ha permesso il già citato spillover. “Il virus SARS-CoV-2, lasciato il suo probabile serbatoio animale selvatico, si è diffuso rapidamente in tutti i continenti, trovando nella specie umana una popolazione recettiva e in grado di permettergli una efficiente trasmissione intraspecifica”, ha spiegato il professor Agrimi.
Per quanto concerne gli animali infettati dall'uomo, nei due cani e nel gatto di Hong Kong l'infezione si è sviluppata nella forma asintomatica, mentre il gatto si è ammalato. Il felino ha sviluppato “una sintomatologia respiratoria e gastroenterica a distanza di una settimana dal rientro della proprietaria dall'Italia. L'animale ha mostrato anoressia, vomito, diarrea, difficoltà respiratorie e tosse ma è andato incontro a un miglioramento spontaneo a partire dal nono giorno dall'esordio della malattia”, scrive Agrimi nel suo articolo. Lo studioso ha aggiunto che le analisi dei campioni biologici del gatto hanno rilevato “un'elevata carica virale”. In tutti questi casi gli animali sono stati “incolpevoli vittime”, ha specificato lo studioso.
Poiché gli animali possono contrarre l'infezione occasionalmente, i proprietari positivi o con sintomi riconducibili alla COVID-19 devono ridurre il più possibile il rischio di contagiarli, evitando i contatti ravvicinati allo stesso modo in cui si tutelano le altre persone del proprio nucleo familiare. Molto importante, spiega Agrimi, seguire tutte le raccomandazioni in merito al lavaggio delle mani. Lo studioso ricorda nel suo articolo che gli animali da compagnia “contribuiscono alla nostra gioia e al nostro benessere”, così come noi contribuiamo a quella degli amici a quattro zampe. Ritenere che siano in grado di diffondere il virus non solo è inesatto, ma anche tremendamente pericoloso, poiché le persone incivili e insensibili, alimentate dalla disinformazione, potrebbero essere spinte comportamenti inappropriati verso gli animali, come ad esempio gli abbandoni, da condannare assolutamente in qualsivoglia circostanza.