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Gli UFO a 66 anni da Roswell: non ci sono, ma li stiamo cercando

C’è chi grida al complotto e chi è sicuro di averli incontrati, ma gli extraterrestri ancora non si sono fatti vedere, anche se li stiamo cercando (scientificamente).
A cura di Roberto Paura
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Metà delle persone che stanno leggendo questo articolo sono convinte che gli UFO siano veri, che gli alieni non solo esistano ma ci facciano continuamente visita – con scopi buoni o cattivi – e siano coperti dal segreto assoluto con cui Stati Uniti e altre potenze internazionali cercano di nasconderne le prove. L’altra metà è invece convinta che siano tutte sciocchezze, che gli UFO siano solo illusioni ottiche, che forse le civiltà extraterrestri esistono ma sono lontanissime da noi e probabilmente non le incontreremo mai. A 66 anni dal famoso “incidente di Roswell”, dal nome della cittadina americana del New Mexico in cui nel 1947 fu rinvenuto un presunto disco volante con tanto di occupanti, il dibattito è ancora fermo a questo punto qui, a una cesura netta tra scettici e believers, i “credenti”, come si definiscono in gergo, alimentati dal famoso slogan della serie X-Files “I want to believe”, ossia “voglio crederci”. Nel frattempo sono successe tante cose. Agli avvistamenti hanno fatto seguito i tanti racconti di incontri ravvicinati del terzo tipo (così si definiscono gli incontri con gli occupanti alieni di un disco volante), le storie di rapimenti (le abductions) che spesso portano a crudeli vivisezioni, rimosse dalla memoria delle vittime e i cui ricordi sono recuperati attraverso ipnosi, e anche i cerchi nel grano, modo piuttosto pittoresco con cui gli extraterrestri cercano di comunicarci non si sa cosa. Però di prove definite non ce ne sono ancora.

Risolvere il paradosso di Fermi

Un cerchio nel grano in un campo in Indonesia.
Un cerchio nel grano in un campo in Indonesia.

D’altro canto anche la ricerca scientifica di civiltà extraterrestri ha fatto passi da gigante rispetto al 1947. All’epoca molti americani ed europei erano ancora convinti che su Marte abitasse un’antica civiltà aliena, costruttrice di giganteschi canali per convogliare l’acqua dai poli all’equatore, come sosteneva l’astronomo Percival Lowell, tratto in inganno da quel che vedeva con il suo telescopio. Oggi abbiamo escluso l’ipotesi che esista vita intelligente nel nostro sistema solare. La stiamo cercando con i radiotelescopi, nella speranza di captare messaggi inviati da pianeti lontani, e ci apprestiamo a cercarla anche con la prossima generazione di telescopi spaziali e a terra che cercheranno di individuare tracce di vita sui pianeti extrasolari. Però, anche qui, di prove non ne abbiamo.

A vincere la scommessa, per ora, è chi ha puntato sull’ipotesi del “siamo soli”. Del resto Enrico Fermi, alla fine degli anni ’40, aveva sollevato un interrogativo interessante. Se l’universo esiste da oltre 13 miliardi di anni (all’epoca Fermi non lo sapeva, ma immaginava comunque un’età simile), e la vita sulla Terra ha impiegato 4 miliardi di anni per svilupparsi fino al livello attuale, ne consegue che dovrebbero esistere molte civiltà aliene più antiche, che avrebbero avuto tutto il tempo di superare gli abissi interstellari e venirci a trovare, o comunque a colonizzare il nostro pianeta. Allora, dove sono? Tale paradosso spinge oggi molti scienziati a sostenere che la civiltà umana sia l’unica civiltà tecnologica presente nell’universo: un’ipotesi corroborata certo dal “silenzio” del cosmo, ma che rischia di fare la stessa fine del geocentrismo affossato da Copernico e Galileo.

Ricostruzione dell'incidente di Roswell nel museo ufologico della cittadina del New Mexico.
Ricostruzione dell'incidente di Roswell nel museo ufologico della cittadina del New Mexico.

La verità è che è ancora presto per avere una risposta anche solo parziale all’interrogativo. Abbiamo iniziato a esplorare seriamente l’universo solo da meno di settant’anni, e senza muoverci da casa nostra. Con oltre un centinaio di miliardi di stelle nella galassia, e altrettante galassie nell’universo conosciuto, le probabilità a favore di E.T. sono davvero tante. Persino il Vaticano, negli ultimi anni, ha accettato l’idea che possano esserci altri “fratelli” sparsi per il cosmo, illuminati o meno dalla rivelazione cristiana. Il numero elevatissimo di pianeti fuori dal sistema solare finora individuati, alcuni dei quali sembrano simili alla Terra, induce all’ottimismo. Siamo solo all’inizio di un nuovo capitolo della ricerca di vita extraterrestre, che potrebbe rivelarsi quello decisivo.

Ufologia vs. SETI

Dall’altro lato c’è chi continua invece a credere che il paradosso di Fermi abbia una soluzione molto ovvia: gli alieni ci sono da sempre. Così sostenevano fanta-archeologi come Erich von Dӓniken o Zecharia Sitchin, o ancora l’italiano Peter Kolosimo: autori che hanno guadagnato milioni con le loro teorie secondo cui gli extraterrestri ci hanno fatto visita in epoche passate e abbiamo lasciato delle testimonianze nelle cronache delle antiche civiltà. Gli UFO insomma non avrebbero fatto la loro comparsa nel 1947, ma ci studierebbero da sempre. Forse sono stati loro stessi a creare la vita sulla Terra, come suggerisce il film Prometheus, che riprende le vecchie tesi della “panspermia guidata”, secondo cui l’evoluzione della vita sul nostro pianeta sarebbe stata guidata da intelligenze aliene. Sono teorie affascinanti che, tuttavia, non forniscono prove scientifiche e viaggiano piuttosto sul binario sempre trafficato della pseudoscienza.

Vale la pena ricordare due eventi accaduti lo scorso mese di giugno. L’ufficio UFO della Royal Air Force britannica ha rilasciato sul suo sito gli ultimi documenti su presunti avvistamenti di oggetti volanti non identificati giunti sulla sua scrivania. L’ufficio ha chiuso nel 2009 e negli ultimi quattro anni gli archivisti hanno messo a disposizione del grande pubblico tutta la gran mole di documentazione accumulata, confermando quanto già stabilito dalla RAF: in sessant’anni di studi, non è uscita fuori nessuna prova convincente che gli UFO siano astronavi extraterrestri, quindi caso chiuso. L’altro evento è invece un’apertura: la Royal Astronomical Society ha deciso di avviare un grande progetto di SETI, ossia ricerca di intelligenze extraterrestri, sfruttando i propri radiotelescopi. A differenza del SETI americano, che dal 1993 non riceve più fondi pubblici e va avanti con le sole (cospicue) donazioni private, il network britannico investirà nella ricerca di segnali extraterrestri una parte dei fondi per l’astronomia. Alla guida del progetto c’è Sir Martin Rees, astronomo reale di Greenwich e fisico a Oxford, personalità eccentrica quanto rispettata. A 66 anni da Roswell, il Regno Unito sembra suggerire ai suoi colleghi americani di lasciar perdere gli UFO e mettersi a cercare sul serio E.T.

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