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Gli scienziati hanno scoperto il “virus della stupidità”

La presenza di un microorganismo nell’essere umano sarebbe associata ad una diminuzione nelle funzioni cognitive.
A cura di Nadia Vitali
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Alcuni scienziati della Johns Hopkins e della University of Nebraska hanno individuato nella gola di alcuni soggetti sani le tracce di un virus che generalmente colpisce le alghe. Ma la notizia interessante è che questo virus, negli esseri umani che lo ospitano, sarebbe in grado di alterare una serie di funzioni cognitive che vanno dall'elaborazione degli stimoli visivi all'orientamento nello spazio. La scoperta contribuisce a fare luce su una classe di virus che da tempo sono considerati non pericolosi per l'uomo, indagando così nelle, quasi raffinate, capacità di questi microrganismi di determinare delle mutazioni fisiologiche talmente delicate da essere apparentemente impercettibil, ben distanti dai danni macroscopici ed osservabili attraverso sintomi evidenti di molte malattie. I dettagli del lavoro dei ricercatori sono stati resi noti attraverso un articolo pubblicato da Proceedings of the National Academy of Science.

La costellazione di microrganismi del nostro corpo

«Questo è un esempio notevole di come un "innocuo" microorganismo che portiamo con noi possa arrivare a colpire il nostro comportamento e la nostra cognizione. Molte differenze fisiologiche che distinguono un individuo dall'altro sono il risultato dei geni ereditati dai genitori, ma qualcuna di queste viene sicuramente alimentata anche dai microorganismi che dimorano nel nostro organismo ed interagiscono con i nostri geni» ha spiegato Robert Yolken, virologo ed esperto di malattie pediatriche infettive e principale autore dello studio. I corpi delle persone sono popolate da miliardi di batteri, virus, funghi: un immenso esercito di organismi le cui funzioni sono conosciute soltanto in misura marginale. Mentre alcuni sono dannosi, molti di essi del tutto inoffensivi, altri come il Lactobacillus acidophilus sono praticamente fondamentali per la nostra salute, altri ancora, a quanto pare, possono incidere in maniere non del tutto ovvie, né tanto meno benigne, sulle condizioni fisiche. Lo studio è significativo anche perché fornisce una rara prova del fenomeno biologico di un "salto di specie" (si pensi ai virus della febbre suina o dell'HIV) estremamente ampio, poiché porta il microorganismo dal regno vegetale al regno animale.

Dalle alghe all'uomo

Lo studio in questione è iniziato per caso, partendo da una inaspettata constatazione: Yolken e i suoi colleghi incapparono in un virus che attacca le alghe analizzando la popolazione microbica delle gole di alcuni individui in salute nell'ambito di un lavoro non correlato che prevedeva l'esame dei campioni ottenuti tramite tamponi faringei per delineare il quadro genetico dei virus e dei batteri presenti in gola. Con somma sorpresa, così, hanno scoperto tracce di DNA riferibili all'Acanthocystis turfacea Chlorella virus 1, o più semplicemente come ATCV-1, noto per essere un infestante delle clorofite. La divisione delle clorofite, o alghe verdi, contiene circa 7.000 specie di organismi unicellulari, coloniali e pluricellulari estremamente frequenti in ambienti acquatici come laghi, stagni, acquitrini ma anche oceani. Ai ricercatori è quindi venuto spontaneo chiedersi: cosa ci faceva lì quel virus? E la sua presenza aveva degli effetti riscontrabili in qualche modo?

Deficit cognitivi

Hanno così preso un campione di 92 individui e lo hanno sottoposto a test per verificare la presenza di ATCV-1: quaranta di essi sono risultati positivi. Successivamente hanno coinvolto i partecipanti in una serie di test per misurarne la velocità e l'accuratezza nell'elaborazione degli stimoli visivi. Coloro i quali ospitavano il virus hanno dato una prova di sé peggiore: non un completo disastro, sia ben chiaro, ma una performance di livello inferiore, tale da essere misurabile. Ad esempio, totalizzavano, mediamente, un punteggio più basso di circa nove punti in un test che prevedeva la velocità impiegata per disegnare su un foglio una linea per unire puntini contrassegnati da un numeretto in ordine crescente. Anche i test per valutare il grado di attenzione hanno prodotto un punteggio più basso di sette punti di media nei soggetti con il virus.

Per comprendere meglio il funzionamento di questo curioso meccanismo, i ricercatori hanno anche infettato alcuni topolini da laboratorio con il virus, riscontrando in essi  gli stessi effetti rilevati negli uomini: una peggiore memoria ed uno scarso senso dell'orientamento nello spazio, che li rendeva meno abili nel ritrovare l'uscita di un labirinto, ad esempio. Inoltre, nelle cavie è stata riscontrata un'attenzione minore nei confronti dei nuovi oggetti: l'attività esplorativa, rispetto a quella dei topi sani, era ridotta del 30%. Certo, gli stessi ricercatori invitano alla cautela, ricordando che può essere riduttivo tracciare un collegamento troppo stretto tra ratti ed umani: ma tale parallelismo osservato nello studio appare quanto meno sorprendente.

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