Il tempo di una generazione sarebbe quello necessario per consentire agli oceani di tornare al loro vecchio splendore e "guarire" dall'avvelenamento che li ha caratterizzati negli ultimi anni. Lo riporta uno studio pubblicato su Nature che sottolinea l'efficacia di casi isolati di conservazione, piccoli successi tra pesca selvaggia, inquinamento e distruzione delle coste che però fanno ben sperare per il futuro del mare e ne ricordano la grande resilienza. Secondo gli scienziati, è tempo di una sorta di rinascimento degli oceani che entro il 2050 potrebbe riportarli in salute.
Le misure necessarie prevedono la protezione di grosse zone marine, una pesca sostenibile e il controllo dell'inquinamento, con costi pari a diversi miliardi di dollari all'anno ma che porterebbero benefici 10 volte più alti. Il destino dei mari di tutto il mondo non sarebbe quindi segnato, ma proprio grazie alla capacità degli oceani di guarire potrebbe tornare relativamente presto sulla retta via. "Abbiamo una finestra molto stretta per consegnare ai nostri nipoti degli oceani in salute, abbiamo le conoscenze e gli strumenti per farlo" ha spiegato il professore Carlos Duarte, della King Abdullah University of Science and Technology in Arabia Saudita. "Fallire in questa sfida, e quindi condannando i nostri nipoti a degli oceani malati incapaci di sostenere la vita, non è un'opzione".
Lo studio sottolinea come la pesca in tutto il mondo stia diventando sempre più sostenibile e come la distruzione degli habitat marini si sia interrotta quasi completamente, con ampie zone in via di recupero, dalla Florida alle Filippine. Questo ha portato a diversi elementi positivi, come la migrazione delle balene dall'Antartide all'Australia, portando a un aumento della popolazione dalle poche centinaia degli anni '60 agli attuali 40.000 esemplari. Anche le lontre di mare in Canada sono aumentate dalle dozzine degli anni '80 alle attuali migliaia, così come hanno fatto le foche e i cormorani.
Ma la situazione non è ancora completamente stabile, soprattutto per quanto riguarda l'inquinamento. Come ricorda la ricerca, la contaminazione da parte delle fabbriche e lo sversamento di rifiuti plastici costituiscono ancora un enorme problema, così come l'aumento delle temperature e la pesca selvaggia che ancora si svolge in alcune aree. "Il Mediterraneo è un caso disperato" spiega il professore Callum Roberts della University of York. "C'è una tremenda sovrapesca in grandi parti del sud-est asiatico e dell'India, dove i pescatori raccolgono semplicemente ogni cosa che trovano in mare". Senza contare il riscaldamento degli oceani che ha costretto diverse centinaia di balene a viaggiare lungo la costa ovest dell'Atlantico, dove vengono uccise dalle collisioni con le navi o finiscono per annegare avvinghiate alle reti da pesca.
"Quando ho iniziato a lavorare sulle aree marine protette negli anni '90, si trattava di un settore molto di nicchia" ha continuato Roberts. "Ora è un argomento di discussione internazionale di massima priorità e molte nazioni stanno accettando di aumentare la protezione fino al 30 percento degli oceani mondiali entro il 2030, con l'Inghilterra in cima alla lista". Le aree protette sono già aumentate dallo 0,9 percento del 2000 al 7,4 percento attuale. Ora l'obiettivo è quello di rimettere in piedi gli oceani entro il 2050, una "sfida che rappresenterebbe un'enorme pietra miliare nella storia dell'umanità".