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Covid 19

Questo studio dimostra che gli anticorpi monoclonali funzionano davvero, ma in Italia li usiamo poco

Mettendo a confronto gli esiti clinici di 200 pazienti ad alto rischio con COVID-19 trattati con anticorpi monoclonali con quelli di altrettanti pazienti non trattati, un team di ricerca americano ha dimostrato che la terapia abbatte in modo significativo il rischio di complicazioni, ricovero in ospedale e morte. Ma deve essere somministrata subito dopo la comparsa dei sintomi.
A cura di Andrea Centini
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Tra le armi principali che abbiamo per combattere la COVID-19, l'infezione scatenata dal coronavirus SARS-CoV-2, vi sono gli anticorpi monoclonali, immunoglobuline semi-sintetiche create in laboratorio e ottenute a partire da quelle neutralizzanti prelevate da pazienti convalescenti o guariti. Nei mesi scorsi gli anticorpi monoclonali sono stati approvati per l'uso di emergenza dalla Food and Drug Administration (FDA) americana e successivamente anche dall'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), come trattamento precoce e preventivo per i pazienti positivi ad alto rischio di sviluppare la forma grave e potenzialmente fatale della COVID-19. Ora il primo grande studio dedicato all'efficacia degli anticorpi monoclonali in questi pazienti dimostra non solo che sono altamente protettivi, ma che possono anche ridurre la pressione della pandemia sul sistema sanitario e abbattere i costi necessari per affrontarla.

A determinare che la somministrazione precoce di anticorpi monoclonali protegge i pazienti ad alto rischio da complicazioni, ricovero in ospedale e morte è stato un team di ricerca americano composto da scienziati del Tampa General Hospital e della Divisione di Malattie Infettive – Dipartimento di Medicina Interna dell'Università della Florida del Sud (USF). Gli scienziati, coordinati dalla professoressa Asa Oxner, docente presso lo USF Health Morsani College of Medicine, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver condotto uno studio di coorte retrospettivo tra il 18 novembre 2020 e il 5 gennaio 2021 che includeva pazienti ambulatoriali ad alto rischio, tutti con diagnosi confermata di COVID-19 attraverso il tampone oro-rinofaringeo. I partecipanti, con condizioni come obesità, diabete, malattie polmonari croniche e/o cardiache e disturbi immunosoppressivi, presentavano sintomi lievi o moderati dell'infezione da un massimo di 10 giorni, rientrando così tra i papabili per essere trattati con gli anticorpi monoclonali, in base alle linee guida dell'FDA.

In 200 sono stati sottoposti al trattamento con le immunoglobuline semi-sintetiche, una singola infusione del mix casirivimab/imdevimab di Regeneron o del bamlanivimab di Eli Lilly, mentre altri 200 del gruppo di controllo o si sono rifiutati di riceverli o non li hanno ottenuti. Mettendo a confronto gli esiti clinici tra i due gruppi è apparsa evidente la protezione garantita dalla somministrazione precoce degli anticorpi monoclonali. I pazienti trattati, infatti, avevano un rischio sensibilmente inferiore di essere ospedalizzati o di finire al pronto soccorso rispetto ai non trattati (13,5 percento contro il 40,5 percento), inoltre non si è registrato alcun decesso nel gruppo che ha ricevuto gli anticorpi monoclonali, rispetto al 3,5 percento di vittime registrato nel secondo gruppo. La professoressa Oxner e i colleghi hanno anche osservato che gli anticorpi monoclonali risultano molto più efficaci quando assunti entro i primi sei giorni dalla comparsa dei sintomi; il rischio di essere ricoverati o di far visita al pronto soccorso entro un mese dall'infusione, infatti, era del 7,7 percento in chi riceveva il trattamento entro la prima settimana e del 28,1 percento tra chi lo riceveva dopo 7 giorni.

Alla luce di questi risultati, gli autori dello studio non solo raccomandano l'uso degli anticorpi monoclonali su tutti i pazienti considerati ad alto rischio di COVID-19 grave, ma anche di effettuarlo entro e non oltre una settimana dalla comparsa dai sintomi. In questo modo si salvano vite, si riduce la pressione sul sistema sanitario e si determina anche un netto risparmio per le casse della sanità. Basti pensare che la Florida Hospital Association ha stimato perdite per oltre 7,4 miliardi di dollari tra l'inizio della pandemia e agosto dello scorso anno. Purtroppo la disponibilità di anticorpi monoclonali in Italia non è elevata, inoltre, come mostra l'ultimo bollettino dell'AIFA, il loro utilizzo è letteralmente crollato da metà aprile a metà giugno. I dettagli della ricerca “Effectiveness of SARS-CoV-2 Monoclonal Antibody Infusions in High-Risk Outpatients” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Open Forum Infectious Diseases.

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