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Foresta amazzonica, dove un popolo vive in fuga dai taglialegna

Gli Awà sono una tribù di cacciatori raccoglitori nomadi che vive in aree protette del Brasile. Sono sotto la costante minaccia dei taglialegna che operano anche a pochi metri dai loro territori, sferrando attacchi feroci a chiunque tenti di opporsi alla deforestazione selvaggia: nel corso dell’ultima violenta aggressione, secondo Survival, un bambino Awà sarebbe stato bruciato vivo.
A cura di Nadia Vitali
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Gli Awà sono una tribù di cacciatori raccoglitori nomadi che vive in aree protette del Brasile. Sono sotto la costante minaccia dei taglialegna che operano anche a pochi metri dai loro territori, sferrando attacchi feroci a chiunque tenti di opporsi alla deforestazione selvaggia, nel corso dell'ultima violenta aggressione, secondo Survival, un bambino Awà sarebbe stato bruciato vivo.

Alcuni piccoli gruppi di Awá vivono braccati costantemente, in un fuga perenne che li porta da un angolo all'altro di quella che doveva essere la loro terra incontaminata, nello stato brasiliano di Maranhão, nella speranza di trovare rifugio negli ultimi brandelli di una foresta pluviale che è soggetta ad una distruzione sempre più incalzante; alcuni di essi sono sopravvissuti a brutali massacri, nel corso dei quali hanno visto i propri compagni e la propria famiglia trucidati da sicari assoldati da allevatori, coloni, taglialegna. Una sessantina di Awá sono sempre riusciti ad evitare il contatto con il resto del mondo, che del resto potrebbe essere loro fatale in primo luogo a causa della diffusione di virus contro i quali non sono immunizzati; rimasti completamente isolati nella riserva di Araribói, non sono, tuttavia, al riparo in alcun modo dalla avidità e dalla crudeltà umana.

Anche questo territorio, infatti, ufficialmente protetto assieme alla restante area in cui vivono i circa 355 Awá «contattati», è stato invaso negli ultimi anni dai taglialegna in maniera massiccia. Già negli anni '70 la scoperta di alcuni giacimenti di ferro portò ad uno stravolgimento dell'ambiente improvviso e dall'impatto devastante: la costruzione di una miniera, con la conseguente creazione di una ferrovia che consentisse un rapido trasporto del materiale in direzione della costa, venne pagato a caro prezzo dalla popolazione indigena che subì violenze e soprusi di ogni tipo, cadde vittima delle malattie portate dai nuovi venuti, vide la propria foresta, da cui dipendevano e ancora dipendono per tutto, totalmente distrutta.

Gli Awá sono una delle ultime tribù di cacciatori-raccoglitori nomadi rimaste in Brasile ma non è escluso che, secoli addietro, fossero sedentari e vivessero coltivando manioca e cerali; è probabile che le ondate di coloni riversatisi su quelli che anticamente furono i loro territori costrinsero gli autoctoni a diventare vagabondi della foresta, alla costante ricerca di una via di scampo da massacri e schiavitù. Da quando negli anni '90 una neo-nata sensibilità verso tematiche legate all'ambiente e, in generale, ai diritti umani ha portato al riconoscimento legale delle riserve protette, tuttavia, non si può certamente dire che la situazione dei popoli nativi sia migliorata in qualche maniera decisiva.

Nelle aree protette esistono ben tre grandi insediamenti abusivi, mentre moltissime zone sono state occupate dagli allevatori di bestiame: occupazione e disboscamento del territorio, pratiche entrambe illegali stando a quelle che dovrebbero essere le norme delle zone tutelate, continuano a crescere in maniera progressiva. Rilevamenti satellitari hanno appurato che in una delle regioni destinate agli Awá è sparito il 30% di foresta. L'invasione, dunque, non ha mai subito un vero momento di arresto ma è proseguita più o meno indisturbata anche nel corso degli ultimi decenni dimostrando che le autorità brasiliane non hanno ancora messo in atto delle misure efficaci per la protezione di questo popolo.

Anzi, non di rado si sono verificate situazioni gravissime in cui i nativi hanno subito brutali aggressioni da parte dei taglialegna fuorilegge, degli allevatori, dei cercatori d'oro. L'ultima preoccupante denuncia riguarda la scoperta di un'operazione di disboscamento condotta a soli 400 metri di distanza dal campo degli Awá incontattati: stando a quanto riportato da Survival le indagini condotte congiuntamente da una ONG brasiliana, dall'Ordine degli Avvocati del Brasile e dalla Società per i Diritti Umani del Maranhão avrebbero già raccolto prove che denuncerebbero che un violento attacco sarebbe stato sferrato contro i membri della tribù.

Ma non è tutto perché la denuncia di Survival parla di uno scenario ancora più macabro e tragico: dopo l'invasione della terra natale «protetta» degli Awá e dopo l'aggressione contro gli indigeni, sarebbero stati ritrovati i resti carbonizzati di un bambino, molto probabilmente bruciato vivo nel corso degli incidenti verificatisi. L'episodio risale a diverse settimane fa ed è ipotizzabile che da allora gli Awá siano fuggiti terrorizzati, abbandonando sul territorio le loro corde che, normalmente, utilizzano come ausilio per arrampicarsi sugli alberi; le tracce lasciate dai grossi veicoli usati dai disboscatori non lasciano alcun dubbio sugli intenti drammaticamente distruttivi dei taglialegna che sono penetrati in zona, violando la legge e seminando il terrore tra i nativi.

Il Dipartimento degli Affari Indiani del governo brasiliano, tuttavia, ha fatto sapere che non ha ancora confermato il ritrovamento della piccola vittima ustionata. Quel che è certo, per il momento, è solo l'amara condanna di un popolo totalmente indifeso che cerca solo di conservare qualche frammento di libertà e di terra, molto spesso al prezzo della propria stessa vita. Un destino che unisce gli Awá ai nativi che, in tutto il mondo e nella stessa America meridionale, subiscono soprusi e aggressioni di ogni tipo, per lo più, nell'indifferenza dei governi dei propri paesi.

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