Farmacopea tradizionale cinese, gli ingredienti nascosti
C'è chi guarda ad essa con estrema diffidenza, chi nel tempo si è trovato a sperimentare rimedi a base di di cartilagine di squalo o magari vorrebbe provare gli effetti curativi del corno di rinoceronte, rispetto ai quali diverse ricerche hanno più volte sottolineato come sia stato impossibile trovare un riscontro scientifico. E poi c'è chi la studia e la osserva, per valutarne benefici, rischi per la salute ed eventuali questioni legali, derivanti dall'utilizzo di alcune specie di animali protette o, addirittura, a rischio di estinzione: la medicina tradizionale cinese è stata praticata per migliaia di anni nei vastissimi territori dell'Estremo Oriente ma l'entrata nel mondo globalizzato del gigante asiatico ne ha favorito una diffusione ben più ampia che, inevitabilmente, sollecita dubbi e perplessità da parte della scienza occidentale, interessata a scoprirne i misteri e a verificarne l'eventuale effettiva sicurezza e funzionalità nell'approccio terapeutico.
Poca trasparenza e poca sicurezza – Recentemente, uno studio di biologia molecolare, condotto da un gruppo di ricercatori australiani della Murdoch University apparso sulla rivista scientifica PLoS GENETICS, ha scelto di indagare la composizione dei più classici preparati della farmacopea cinese, ormai sempre più popolare anche al di fuori dei confini asiatici, benché spesso sospettata di non rispettare i minimi requisiti di trasparenza sulle etichette: il fatto che alcuni ingredienti non vengano chiaramente indicati sottopone gli utenti al rischio di ingerire sostanze che potrebbero essere dannose e, inoltre, non aiuta gli stessi a compiere una scelta consapevole al momento dell'acquisto. All'interno di pastiglie, polverine, compresse, capsule e flaconi contenenti la tristemente nota «bile di orso», troverebbero posto numerosi vegetali e derivati di animali che agirebbero in sinergia sull'organismo del paziente: alcuni di questi elementi, alterati e contaminati o presenti secondo dosi non specificate, comporterebbero seri pericoli per la salute dell'uomo. Secondo gli esperti, infatti, nei composti ci sarebbero sostanze responsabili di allergie, metalli pesanti quali mercurio, piombo, rame o arsenico, principi attivi in quantità non indicate e piante tossiche. Nei primi anni '90, ad esempio, l'errata identificazione della Stephania tetrandra, antiinfiammatorio vegetale tradizionale, con la Aristolochia fangchi, comportò l'insorgenza di patologie renali per oltre un centinaio di donne posto in relazione con il tumore al sistema urinario sviluppato anni dopo dalle stesse.
Tracce genetiche, alla ricerca degli ingredienti segreti – Un grande ostacolo, nel cercare di comprendere a fondo i meccanismi della farmacopea tradizionale cinese, era costituito dalla complessità di poter risalire all'origine degli elementi, dovuta principalmente alla loro provenienza estremamente eterogenea e al lungo processo che li trasforma in farmaci: per questa ragione, gli scienziati hanno cercato all'interno dei composti la sola traccia indelebile che consente una perfetta ed inequivocabile identificazione, il DNA. Il confronto delle sequenze genetiche con le informazioni contenute nei database ha consentito agli esperti di verificare come nei preparati siano presenti 68 differenti famiglie di piante, incluse alcune appartenenti ai generi Ephedra, utilizzate per la cura di patologie a carico del sistema respiratorio quali asma e bronchite, ma classificate dalla legge statunitense come tossiche e velenose nei dosaggi alti e bandite dalla Food and Drug Administration; oltre a ciò, anche i vegetali del genere Asarum, alcuni dei quali potrebbero contenere acido aristolochico, il pericoloso elemento presente nella Aristolochia fangchi. Dati che erano già noti, ma di cui ora è possibile avere conferma e conoscere, soprattutto, i numeri esatti. E poi c'è il problema degli animali.
Sull'orlo dell'estinzione – Che abbiano o meno tutte le miracolose virtù elencate dai manuali tradizionali di medicina cinese, molti dei derivati animali impiegati per preparare i composti non potrebbero essere utilizzati in virtù di severe norme internazionali che tutelano la conservazione delle specie: eppure questo non ha fermato il bracconaggio che, oltretutto, nel corso del 2011, è diventato ancora più feroce. Perché se per i cervi esistono degli appositi allevamenti, con i rinoceronti si procede direttamente all'uccisione: per tale ragione, la popolazione di questo magnifico mammifero, scomparso quasi del tutto dall'Asia, si sta contraendo visibilmente anche in Africa con poche migliaia di rinoceronti bianchi rimasti e pochissimi esemplari di rinoceronte nero ancora in vita. Le indagini condotte sui preparati dai ricercatori australiani hanno consentito di verificare come siano stati utilizzati nella composizione anche altri animali appartenenti a specie sottoposte al vincolo di protezione: l'orso dal collare, o orso asiatico, (Ursus thibetanus) classificato dalla IUCN come vulnerabile, e la Saiga tatarica, un'antilope in pericolo critico di estinzione. Quest'ultima, un tempo estremamente diffusa nelle vaste steppe eurasiatiche, è stata cacciata di frodo sistematicamente negli ultimi anni, ad un ritmo che ha visto la sua popolazione diminuire del 95% in appena 15 anni: tutto per le sue pregiate corna.