Epatite C, un test per riconoscerla

Scarsa informazione e un decorso clinico inizialmente silente fanno dell’epatite C una malattia subdola, che è bene diagnosticare al più presto.
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Addentrarsi tra le cifre che raccontano il quadro clinico italiano rispetto all’epatite C fa emergere una situazione preoccupante: 1.768.000 casi di epatite C allo stato cronico, 6000 decessi all’anno per complicanze dovute alla malattia, un sommerso stimato tra le 71.000 e le 130.000 persone. Ma come si manifesta questa malattia così diffusa di cui si sa così poco, tanto che alcuni la associano automaticamente all’idea che sia incurabile, cosa assolutamente falsa? Il contagio da epatite C si divide in due fasi: l’infezione acuta e l’infezione cronica. La prima avviene quando le difese dell’organismo si attivano immediatamente dopo il contagio. È una fase spesso asintomatica e che può arrivare a durare anche alcuni mesi (solo il 5-10% dei pazienti accusa sintomi, quali ittero, febbre, vomito…).

Se i sintomi sono così poco invalidanti, perché fare il test?

Se solo una fetta così ridotta di malati ha questi sintomi, viene da chiedersi perché allora è così importante fare il test. La risposta emerge nel lungo periodo. Se il sistema immunitario non sconfigge la malattia (cosa che avviene nel 60-80% dei casi), il virus si annida nel fegato, dove continua a danneggiare le cellule epatiche. Anche questa fase può rimanere asintomatica per anni, ma porta a complicanze spesso gravi che insorgono nel tempo: basti pensare che il 20% dei pazienti sviluppa cirrosi epatica e il 5% tumore. Ecco perché, nonostante una prima fase post contagio assolutamente non invalidante, il rischio di esporsi a mali peggiori è molto alto. Diagnosticare l’epatite C per tempo e sottoporsi alle cure è fondamentale e importantissimo.

Come curare la malattia: i test e la terapia

Il primo passo per combattere l’epatite C, quindi, è fare il test: un semplice esame del sangue che può essere prescritto dal proprio medico di base. Non serve una preparazione fisica prima del prelievo, che va a cercare nel sangue gli anticorpi che stanno combattendo il virus. Nel caso in cui il risultato dovesse essere positivo, niente panico. Come già detto, l’epatite C è ormai una malattia curabile semplicemente attraverso l’assunzione di farmaci chiamati DAAs, inibitori delle polimerasi e inibitori delle proteasi virali. I cicli di cura sono di 8, 12 o 24 settimane e nel 95% dei casi hanno portato alla guarigione. Plus di questo percorso di cura è che i DAAs presentano pochi effetti collaterali e l’assunzione è semplice: si tratta di compresse da prendere per via orale. Perché la terapia funzioni, bisogna rispettare la posologia indicata dal proprio medico.

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Educare attraverso le immagini: il contest

Per il 2030, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha posto all’Italia un obiettivo sfidante, ma fondamentale: ridurre del 90% i nuovi contagi da epatite C e del 65% le morti legate alla malattia. Visti i numeri preoccupanti sulle persone che hanno contratto il virus ma, non facendo il test, non si sottopongono alle cure, il primo passo è diffondere la consapevolezza di quanto sia importante diagnosticare l’infezione. Per fare questo, l’azienda biofarmaceutica Gilead Sciences ha coinvolto la community di videomaker Userfarm, lanciando loro una sfida: realizzare brevi video che raccontassero l’importanza di sottoporsi al test per l’epatite C, diffondendo al contempo l’idea che si tratta di una malattia oggi curabile. Il contest, lanciato in associazione con la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali, l’Associazione Italiana Studio del Fegato, la Fondazione The Bridge e la Federazione LiverPool, ha avuto adesioni da Russia, Olanda, Italia, Gran Bretagna e Francia. Tre i video vincitori: ​Breaking not so Bad di Valerio Fea, ​Il Primo Passo di Timothy Emanuele Costa e ​ll coach di Mirko Bonanno, che con toni diversi – dal graffiante, al motivatore, all’emotivo – hanno spiccato per il modo diretto e originale di veicolare i contenuti richiesti.

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