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Ennesimo massacro di delfini in Giappone: 22 peponocefali legati per le pinne e macellati

La baia della morte di Taiji, in Giappone, si è di nuovo tinta di rosso sangue. I cacciatori giapponesi hanno inseguito per ore un grande branco di peponocefali, una specie di delfini tropicali, e dopo averlo accerchiato sono riusciti a catturare 22 esemplari. Gli altri sono fuggiti. I delfini che non ce l’hanno fatta, esausti, sono stati legati per le pinne e condotti sotto i tendoni per essere macellati.
A cura di Andrea Centini
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I delfini legati dopo la cattura. Credit: Dolphin Project
I delfini legati dopo la cattura. Credit: Dolphin Project

Un nuovo massacro di delfini si è consumato nella “baia della morte” di Taiji, nella prefettura giapponese di Wakayama. Questa volta a finire sotto le lame dei cacciatori nipponici sono stati 22 peponocefali (Peponocephala electra), splendidi cetacei appartenenti alla famiglia dei delfinidi che vivono in tutte le acque tropicali del pianeta. La caccia ai mammiferi marini si è conclusa dopo ore di inseguimento la mattina del 16 gennaio; tutti gli esemplari catturati, dopo essere stati radunati e legati l'uno all'altro per le pinne caudali, sono stati trascinati sotto i tendoni e macellati. La loro carne è stata già messa in vendita.

Le immagini della nuova mattanza sono state documentate ancora una volta dai volontari della squadra “Cove Monitors” del Dolphin Project, organizzazione nata per volontà di Richard “Ric” O'Barry, ex addestratore di delfini conosciuto in tutto il mondo per aver contribuito alla serie Flipper. Resosi conto della disumanità di tenere in prigionia i cetacei, cambiò radicalmente vita votandosi alla loro tutela e protezione. È grazie a Ric O'Barry che tutto il mondo è a conoscenza delle mattanze di delfini nella baia di Taiji, al centro del film documentario vincitore del Premio Oscar “The Cove”. Ma nonostante gli appelli e la diffusione di immagini atroci, i delfini continuano a essere massacrati impunemente; le istituzioni nipponiche sembrano infatti totalmente disinteressate alle critiche che giungono da tutto il mondo.

L'ultimo massacro poteva coinvolgere numeri molto più grandi, ma fortunatamente una larga parte del branco di peponocefali intercettato dai cacciatori giapponesi è riuscito a fuggire. La tecnica è sempre la stessa; i cetacei vengono accerchiati con le imbarcazioni, spaventati a morte col rumore assordante di lunghi pali metallici e condotti verso la baia della morte. Qui vengono o uccisi o venduti ai migliori offerenti per finire nei parchi acquatici e nei delfinari sparsi per il pianeta. Come indicato, buona parte dei peponocefali – delfinidi lunghi fino 3 metri di lunghezza – sono riusciti a divincolarsi, ma per 22 di essi, esausti dopo il lungo inseguimento, non c'è stato nulla da fare. I cacciatori come sempre non si sono fatti problemi a massacrare femmine incinte e piccoli, come mostrano le immagini catturate dall'organizzazione.

Solo alcuni giorni addietro i volontari del Dolphin Project avevano diffuso le immagini strazianti di una stenella striata che, una volta catturata, ha cercato in tutti i modi di fuggire dal recinto marino in cui era stata rinchiusa, in attesa del macello. Durante il tentativo di fuga si è ferita gravemente al rostro contro alcune rocce, perdendo tantissimo sangue. Un sub l'ha raggiunta, afferrata con forza e trascinata sotto un tendone dove è stata macellata. La disumanità di tali atti verso un mammifero marino senziente, sociale e intelligente lascia semplicemente sgomenti. I volontari che documentano queste atrocità non possono intervenire, poiché sono tenuti sotto stretta sorveglianza dalle autorità e rischiano pene severissime in caso di disturbo alle operazioni di caccia.

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