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Ebola, il “disastro biologico” che era stato sottovalutato

Nonostante i risultati del farmaco sperimentale Zmapp facciano ben sperare, non si può ancora sperare di arginare l’epidemia.
A cura di Nadia Vitali
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Costa d'Avorio, il manifesto della campagna per tenere desta l'attenzione sull'ebola
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Le vittime della febbre emorragica causata da ebola virus sono ormai a quota 1.900: il male continua a diffondersi, interessando un’area progressivamente più grande e preoccupando non poco gli Stati confinanti (e non soltanto quelli), mentre il numero dei morti ha subito un’ulteriore impennata negli ultimi giorni. Proprio in queste ore, e per tutta la giornata di domani, a Ginevra si terrà un vertice dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, duramente rimproverata per l’atteggiamento leggero con cui ha affrontato l’epidemia di ebola in Liberia, Guinea e Sierra Leone (e ormai anche Nigeria), sottovalutandola nei fatti benché, a parole, ad agosto l'avesse già descritta come «un’emergenza di salute pubblica di interesse internazionale». Un annuncio al quale, tuttavia, non è seguita alcuna azione determinante: anzi, secondo le parole della presidente internazionale di Medici Senza Frontiere Joanne Liu, «gli stati si sono sostanzialmente uniti in una coalizione all'inazione».

Dopo sei mesi della peggiore epidemia di Ebola nella storia, il mondo sta perdendo la battaglia per arginarla. I leader mondiali stanno fallendo nell'affrontare questa minaccia transnazionale.

Un vaccino ed un farmaco

In quella che è la più grave ed incontrollabile epidemia di ebola mai verificatasi fin da quando, nel 1976, il virus è stato scoperto, molte delle speranze sono puntate sul farmaco sperimentale Zmapp che, fino ad ora, ha dimostrato la sua efficacia soltanto su alcuni macachi. Per la verità, il medicinale è stato utilizzato anche per curare alcuni pazienti statunitensi, tuttavia non è possibile stabilire se la guarigione di due di essi sia da addebitare proprio allo Zmapp; per altro, il farmaco non ha funzionato in tutti i casi. Tuttavia, come spiegato da un articolo pubblicato pochi giorni fa da Nature, la combinazione di anticorpi monoclonali somministrata alle 18 scimmie in tre dosi, anche a cinque giorni di distanza dall'infezione, sarebbe risultata efficace nel contrastare il virus e nel riportare i valori dell’organismo su parametri normali. Insomma come era prevedibile, trattandosi di un farmaco sperimentale, non è possibile ancora parlare con assoluta certezza: ma la situazione drammatica lascia ben poca occasione alle esitazioni e, proprio per questo, in più casi lo Zmapp è stato somministrato ai pazienti, saltando la necessaria fase di sperimentazione.

Nel frattempo, nei laboratori della GlaxoSmithKline è stata messa a punto la formula di quello che potrebbe diventare il vaccino contro l’ebola: al momento devono ancora partire i trials clinici di sperimentazione, che si svolgeranno su pazienti sani statunitensi e britannici.

Il vaccino che sarà usato nelle prossime sperimentazioni cliniche
Il vaccino che sarà usato nelle prossime sperimentazioni cliniche

Come gestire l’emergenza?

Vaccini e farmaci, in ogni caso, non possono essere la strada privilegiata da percorrere in quella che è una situazione di emergenza, dove il problema principale si concentra sulla scarsità di igiene, sulla carente formazione del personale sanitario, sui deficit delle strutture per l’accoglienza dei degenti e per la loro messa in quarantena. Ancora una volta è MSF a descrivere lo scenario drammatico in cui versano i Paesi maggiormente coinvolti, con i centri ospedalieri di Liberia e Sierra Leone sovraffollati di individui che potrebbero aver contratto il virus e persone che continuano ad ammalarsi nei villaggi; nella stessa Sierra Leone lungo alcune strade giacciono cadaveri infetti in decomposizione per giorni, aggravando le già malsane condizioni igieniche e, chiaramente, concedendo ancor più facile vita al virus.

Sarebbe necessario ingrandire gli ospedali muniti di reparti di isolamento, inviare un personale altamente formato, creare laboratori mobili in grado di velocizzare e migliorare la diagnostica, stabilire ponti aerei per il trasporto di personale e materiale tra le località colpite dell’Africa occidentale: basti pensare che nella sola Monrovia, in Liberia, si stima che servirebbero almeno altri 800 posti letto di quelli disponibili. I medici sono esausti, oberati di lavoro, spesso impossibilitati a fornire altro se non cure palliative e, talvolta, costretti ad ammettere di non avere spazio per il ricovero per i pazienti.

Inoltre, esistono Paesi con ben pianificati sistemi di risposta alle minacce biologiche, i cui team addestrati di medici civili e di militari potrebbero certamente fornire un supporto tecnico e una formazione specifica al personale dei Paesi colpiti. Perché, come sottolineato dalla stessa dottoressa Liu al briefing alle Nazioni Unite organizzato dall’ufficio del Segretario Generale dell’ONU e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: «Il tempo stringe e l’Ebola sta vincendo. Il tempo per le riunioni e la pianificazione è finito. È il momento di agire. Ogni giorno di inazione significa più morti e il collasso delle società colpite».

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