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Durban, quale futuro per il pianeta (e per noi)

Prevista per il 9 dicembre la chiusura dei lavori al vertice di Durban. Dispersiva, lunga e confusa, la diciassettesima Conferenza sui Cambiamenti Climatici porta a casa qualche piccolo buon risultato a fronte di un grave fallimento: una strategia globale per salvare il pianeta è ancora un miraggio troppo lontano.
A cura di Nadia Vitali
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Prevista per il 9 dicembre la chiusura dei lavori al vertice di Durban, la conferenza ha portato a qualche buon risultato ma i dubbi per il futuro del nostro ambiente restano aperti. Gli Stati Uniti guidano ancora una schiera di paesi che non vuole accordi vincolanti sulle emissioni e che considera Kyoto un capitolo chiuso.

Era difficile immaginare che grandi accordi sarebbero usciti dalla Diciassettesima Conferenza delle Parti di Durban, sapendo che i paesi maggiormente responsabili delle emissioni continuano a non volere vincoli. Giappone, Canada, Russia hanno espressamente dichiarato il proprio «no» ad una nuova stagione di impegni, in vista della scadenza, nel 2012, del Protocollo di Kyoto; sullo sfondo, gli Stati Uniti con posizioni non precise, fatte di dichiarazioni e smentite a proposito della volontà di rinnovare l'accordo. Intanto, però, sembrano morire lentamente le speranze riposte in questo vertice: un'ultima chiamata per il pianeta Terra, probabilmente, a cui siamo chiamati a dare una risposta in queste ore decisive.

La collaborazione tra Stati, quella che avrebbe dovuto portare tutti a convenire su una strategia rapida ed efficace, sembra essere la grande sconfitta di Durban: pochi giorni fa, il Segretario Generale dell'ONU Ban Kii-Moon, volato in Sudafrica per le ultime decisive battute del vertice, ha sottolineato ulteriormente che «Il clima è una sfida globale che richiede una solidarietà globale», invitando dunque tutte le delegazioni dei 194 paesi a prendere in seria considerazione un secondo periodi di impegni. «È in gioco il futuro» ha ricordato, sottolineando come Kyoto sia una base «indispensabile» da cui partire.

Prevista per il 9 dicembre la chiusura dei lavori al vertice di Durban. Dispersiva, lunga e confusa, la diciassettesima Conferenza sui Cambiamenti Climatici porta a casa qualche piccolo buon risultato a fronte di un grave fallimento, una strategia globale per salvare il pianeta è ancora un miraggio troppo lontano.

Alla confusione di questi lunghi e dispersivi giorni si aggiungono le posizioni della Cina che hanno, in un primo momento, imbarazzato e messo in difficoltà Washington: Pechino si è infatti detta disponibile a «negoziare un documento giuridicamente vincolante» ma solo dopo il 2020. Gli Stati Uniti, che non hanno mai aderito a Kyoto e che sono responsabili di oltre il 30% delle emissioni globali, hanno guardato con un certo sospetto a questa inaspettata virata del ministro Xie Zhenhua: Todd Stern, rappresentante americano per il clima, ha sottolineato come, nella sostanza, non ci siano stati cambiamenti effettivi nella strategia cinese.

È pur vero che Pechino ha fissato l'obiettivo di un milione di auto elettriche entro il 2015 e dell'obbligo delle lampadine a basso consumo a partire dal 1° gennaio del 2012 e che è in trattativa con il nostro ministro dell'Ambiente Corrado Clini per un accordo da 3,6 milioni di euro per «promuovere energie pulite». Lo stesso Clini ha messo in evidenza come l'Italia sia assolutamente favorevole ad un Kyoto 2 che coinvolga anche le grandi economie emergenti al fine di isolare la posizione di quanti non vogliono sottoscrivere impegni per il futuro dell'ambiente.

Assieme al gigante asiatico, dunque, Brasile, Messico, Sudafrica, ma anche Australia e Nuova Zelanda: un fonte unito assieme ai paesi europei che dimostri agli Stati Uniti che esiste una volontà globale di ridurre le emissioni, anche senza la collaborazione del governo di Washington. Intanto, l'Europa, sui tavoli di Durban, si conferma la più virtuosa: vuole il rinnovo del protocollo di Kyoto e si è battuta per il fondo verde.

La questione del Green Climate Fund era una delle più spinose della Conferenza: nato a Copenaghen ed istituito a Cancun lo scorso anno, prevede lo stanziamento di 100 miliardi di dollari entro il 2020 destinati ai paesi in via di sviluppo per convertirsi alle energie rinnovabili e per far fronte ai cambiamenti climatici che verranno pagati soprattutto dalle aree più povere del pianeta, con siccità ed eventi catastrofici imprevedibili. Un accordo riguardante la personalità giuridica e la gestione è stato trovato: piccolo risultato positivo a fronte del tema bollente protocollo di Kyoto. Nel frattempo, la Terra aspetta ed il mondo scientifico è seriamente preoccupato: il World Meteorological Organization ha già annunciato che la concentrazione di gas serra nell'atmosfera ha raggiunto «livelli record», con effetti gravissimi sul riscaldamento della superficie del pianeta. «Già stare nel limite di 2 gradi di crescita è una sfida, più si rimanda e più difficile sarà raggiungere l'obiettivo» ha ricordato Michel Jarraud, segretario generale del WMO. 

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