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Di che materiale sono fatte (e come vengono prodotte) le mascherine chirurgiche

Sono sempre più diffuse in Italia e presto potrebbero diventare obbligatorie per poter uscire di casa, come già avviene in Lombardia. Ma come sono fatte e di che materiali sono composte le mascherine chirurgiche?
A cura di Marco Paretti
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Un tempo erano un semplice pezzo di stoffa posizionato davanti al volto di medici e infermieri, mentre oggi sono composte da diversi materiali plastici (e non) in grado di filtrare la maggior parte delle particelle. Le mascherine chirurgiche stanno inevitabilmente prendendo piede anche in Italia come strumento di protezione personale durante la pandemia ed è altamente probabile che continueranno a far parte della nostra vita ancora per molto, sopratutto visto che cominciano a spuntare ordinanze che ne obbligano all'utilizzo. Ma di cosa sono fatte queste apparentemente semplici mascherine?

Di cosa sono fatte

Al tatto potrebbe sembrare semplice tessuto, ma in realtà la maggior parte delle mascherine chirurgiche, cioè quelle che rispettano la norma UNI EN 14683:2019 + AC:2019, sono realizzate con tre strati di materiali sovrapposti: un materiale soffiato a fusione posizionato tra due strati di tessuto non tessuto. Lo strato mediano, quindi quello di materiale soffiato, ha la funzione di filtro che impedisce alle particelle di entrare e uscire dalla maschera. Non è efficiente come quello di una maschera FFP 2 o 3, ma può arrivare al 90 percento di protezione. Questo dipende anche dal livello di protezione della mascherina, che può andare da una protezione minima a una protezione di livello 3.

Come vengono prodotte le mascherine

I due strati di tessuto non tessuto forniscono una protezione migliore e una minore scivolosità rispetto ai tessuti intrecciati. Come spiega il Journal of Academia and Industrial Research, solitamente per lo strato filtrante si utilizza il Polipropilene, un polimero termoplastico, con una densità di 20/25 grammi per metro quadro. Le mascherine possono anche essere realizzate in polistirene, policarbonato, polietilene o poliestere. La maschere con densità di 20 grammi per metro quadro vengono prodotte con un processo di spunbound che prevede l'estrusione del materiale plastico fuso su un trasportatore. Il materiale viene estruso in una ragnatela, dove i filamenti si legano tra loro mentre si raffreddano. Le mascherine con densità di 25 grammi per metro quadro, invece, vengono realizzate attraverso una tecnologia che prevede il soffio a fusione, un processo simile al precedente dove la plastica viene estrusa attraverso una matrice con centinaia di piccoli ugelli e soffiata con aria calda fino a farla diventare piccole fibre in grado di legarsi tra loro raffreddandosi. Queste fibre hanno un diametro inferiore al micron.

Questo strato filtrante viene poi racchiuso da due livelli di tessuto non tessuto, un materiale più economico ed ecologico composto a sua volta da tre o quattro strati. Il processo di assembramento finale prevede l'utilizzo di macchinari in grado di assemblare il tessuto non tessuto da alcune bobine, saldare i livelli insieme e collocare le strisce per il naso, le linguette per le orecchie ed eventuali altre parti. Una volta completate, le mascherine vengono sterilizzate.

Una volta realizzare, le maschere devono superare alcuni test per assicurare la loro efficacia. In particolare, si parla di cinque test: l'efficacia del filtraggio dei batteri in vitro, l'efficienza del filtraggio delle particelle, la resistenza al respiro senza perdere forma e garantendo la ventilazione, la resistenza agli spruzzi e l'infiammabilità. Il livello di protezione – e quindi il livello di filtraggio, dipende dalle fibre, dal metodo di produzione e la struttura dell'intreccio del materiale plastico.

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Giornalista dal 2002 specializzato in nuove tecnologie, intrattenimento digitale e social media, con esperienze nella cronaca, nella produzione cinematografica e nella conduzione radiofonica. Caposervizio Innovazione di Fanpage.it.
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