COVID è un’infezione stagionale: lo suggerisce nuovo studio su 160 Paesi
La COVID-19, la malattia provocata dal coronavirus SARS-CoV-2, è probabilmente un'infezione stagionale alla stregua dell'influenza. I dati drammatici di contagi e morti che si susseguono ogni giorno – da ormai quasi due anni – lascerebbero pensare il contrario, tuttavia i ricercatori hanno sempre sottolineato il maggior pericolo dei patogeni respiratori durante la stagione fredda. I virus influenzali, parainfluenzali, del raffreddore e simili si avvantaggiano dell'autunno e dell'inverno per molteplici ragioni: ad esempio, passiamo più tempo al chiuso e accalcati per le basse temperature, inoltre si determinano variazioni fisiologiche – come vasocostrizione, riduzione del movimento delle ciglia delle alte vie respiratorie, irritazione delle mucose e una minor prontezza del sistema immunitario – che ci rendono più suscettibili alle infezioni respiratorie. Dunque non c'è da stupirsi che il SARS-CoV-2 possa seguire il medesimo schema. Ora un nuovo grande studio che ha analizzato i dati di decine di Paesi ha determinato che la COVID-19 si comporta esattamente come un'influenza con andamento stagionale.
A rilevare che la COVID-19 ha tutti i crismi dell'infezione stagionale a bassa temperatura è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati del Barcelona Institute for Global Health (ISGlobal) di Barcellona, Spagna, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Ecologia ed Evoluzione dell'Università di Chicago. Gli scienziati, coordinati dal professor Xavier Rodó, direttore del programma Clima e Salute dell'istituto catalano, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato i tassi di contagio in tutti e cinque continenti in varie condizioni: prima che fossero prese misure draconiane per spezzare la catena dei contagi (distanziamento sociale, lockdown, mascherine etc etc); durante la prima, la seconda e la terza ondata. Per farlo hanno utilizzato un metodo statistico sviluppato appositamente per identificare variazioni nei modelli in finestre temporali distinte. Osservando l'andamento delle infezioni senza l'intervento delle autorità, il professor Rodò e i colleghi hanno rilevato una stretta correlazione tra bassa temperatura e umidità con i livelli di circolazione del patogeno pandemico. Le curve epidemiologiche delle successive ondate hanno seguito il medesimo schema, con un'impennata nelle stagioni fredde e un calo in quelle calde.
C'è stata tuttavia un'unica eccezione rilevata nell'estate del 2020, com'è possibile? Come sottolineato dal coautore dello studio Alejandro Fontal in un comunicato stampa, possono aver concorso all'impennata dei contagi i grandi raduni di giovani, la ripresa del turismo e l'aria condizionata, che potrebbe giocare un ruolo significativo nella trasmissione del SARS-CoV-2. “Nei paesi ricchi dell'emisfero settentrionale, il microclima interno raffreddato durante i mesi più caldi potrebbe favorire la trasmissione, come nei numerosi focolai osservati negli impianti di lavorazione della carne degli Stati Uniti e dell'Europa, dove l'aria raffreddata viene riventilata meccanicamente”, hanno scritto gli scienziati. Sebbene i dati a disposizione siano ancora limitati, tenendo presente che la pandemia di COVID-19 è scoppiata da meno di due anni, i ricercatori hanno trovato anche il range di temperatura e umidità in cui gli effetti climatici hanno avuto il maggior impatto sulla trasmissione, ovvero compresi tra 12 e 18° C per le temperature e un'umidità tra 4 e 12 g/m3. “Complessivamente, i nostri risultati supportano la visione di COVID-19 come una vera infezione stagionale a bassa temperatura , simile all'influenza e ai più benigni coronavirus circolanti”, ha chiosato il professor Rodò. Se questi dati fossero confermati potrebbero essere sfruttati per migliorate le strategie anti contagio nei periodi più critici, ad esempio favorendo la circolazione/ventilazione dell'aria nei locali chiusi. I dettagli della ricerca “Climatic signatures in the different COVID-19 pandemic waves across both hemispheres” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica specializzata Nature Computational Science.