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Così le varianti Covid possono bucare la protezione dei vaccini Pfizer e Moderna

Segnalati due casi in donne completamente vaccinate: il sequenziamento ha rivelato che entrambe sono state contagiate da virus mutati, anche se l’infezione è stata causata una variante correlata ma distinta da quelle di preoccupazione.
A cura di Valeria Aiello
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Sta facendo discutere la segnalazione di due casi di Covid-19 che si sono verificati in due donne completamente vaccinate. Descritti nel dettaglio sul New England Journal of Medicine, i due episodi sono stati riscontrati in un gruppo di oltre 400 persone che hanno ricevuto la seconda dose di Pfizer-BionTech o di Moderna più di due settimane prima della diagnosi di Covid-19.

Le varianti Covid possono bucare i vaccini

Entrambe le donne hanno sviluppato una forme lieve di Covid-19: la prima paziente, una signora in salute di 51 anni e senza fattori di rischio per Covid-19 grave, aveva ricevuto la prima dose del vaccino di Moderna il 21 gennaio 2021 e la seconda il 19 febbraio. Il 10 marzo (19 giorni dopo il richiamo), la donna ha sviluppato mal di gola, congestione e mal di testa, risultando positiva al coronavirus. I suoi sintomi si sono gradualmente risolti in un periodo di una settimana. La seconda paziente, una donna di 65 anni, sana e senza fattori di rischio per Covid-19 grave, aveva invece ricevuto la prima dose del vaccino di Pfizer-BioNtech il 19 gennaio e la seconda il 9 febbraio. Il 16 marzo la donna ha mostrato affaticamento, congestione sinusale e mal di testa e il 17 marzo, 36 giorni dopo aver completato la vaccinazione, è risultata positiva a Sars-Cov-2. Anche nel suo caso, i sintomi si sono gradualmente stabilizzati, iniziando a risolversi dal 20 marzo.

“Nonostante l’evidenza che nella paziente 1 la prima dose di vaccino avesse portato a una forte risposta anticorpale nei confronti della proteina virale Spike, il test PCR basato sulla saliva ha identificato l’infezione 19 giorni dopo la seconda dose – indicano gli studiosi della Rockfeller University di New York che hanno segnalato entrambi i casi – . Il test è stato positivo anche per l’infezione nel paziente 2, che aveva completato la vaccinazione 36 giorni prima”.

Il sequenziamento del genoma virale ottenuto ha rivelato una serie di mutazioni rispetto alla versione di Sars-Cov-2 identificata per la prima volta a Wuhan, in Cina, compresi alcuni cambiamenti che si ritiene siano di potenziale preoccupazione clinica, anche se in entrambi i casi l’infezione è stata causata da una variante correlata ma distinta dalle quelle di preoccupazione – la variante inglese B.1.1.7 e la variante newyorkese B.1.526 . “Nella paziente 1 – precisano i ricercatori – queste mutazioni includevano la E484K (che conferisce resistenza a una classe comunemente indotta di anticorpi neutralizzanti) e D615G. Nella paziente 2, queste mutazioni includevano invece D614G e S477N”.

Nel dettaglio, alcune delle mutazioni presenti nel ceppo virale che ha contagiato la paziente 1 (T95I, del144, E484K, A570D, D614G, P681H e D796H) erano condivise con la variante B.1.526 (T95I, E484K e D614G). Ulteriori tre sostituzioni sono identificate nel virus che ha contagiato la paziente 2 (in cui sono state rilevate le mutazioni T95I, G142V e del144, F220I, R190T, R237K, R246T e D614G).

I ricercatori hanno inoltre testato ulteriormente il campione di siero ottenuto dalla paziente 1 per misurare l’efficacia contro il virus originario, contro il virus con mutazione E484K e la variante B.1.526. “Abbiamo scoperto che il siero era ugualmente efficacie contro ciascun virus, suggerendo che la risposta anticorpale nella paziente 1 ha riconosciuto queste varianti, ma è stata comunque insufficiente per prevenire un’infezione improvvisa” hanno aggiunto gli studiosi, osservando che tuttavia è ancora presto per trarre conclusioni su quali possano essere le varianti con maggiori probabilità di infezione dopo la vaccinazione.

D'altra parte, per quanto questi due casi non siano da considerare motivo di allarme (“Di certo, le pazienti non hanno avuto bisogno di essere ricoverate in ospedale – ha spiegato il dottor Robert Darnell, professore e medico senior presso la Rockfeller University di New York City e coautore dello studio – . Hanno avuto un caso di Covid a casa”), i primi numeri dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC), l’agenzia federale che si occupa di salute pubblica negli Usa, le infezioni finora registrate nella popolazione vaccinata sono circa 5.800 su oltre 77 milioni di persone, pari allo 0,008%. “Dati che supportano la necessità di mantenere attive le strategie di mitigazione, inclusi gli screening su persone asintomatiche, pubblicazione aperta e analisi di database di vaccinazioni e infezioni, oltre che il sequenziamento rapido di SARS -CoV-2” hanno concluso gli studiosi.

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