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Sindrome di Kawasaki e Coronavirus: la pediatra spiega sintomi e conseguenze della malattia

Nelle ultime settimane i pediatri di vari istituti hanno osservato un incremento nei casi di Malattia di Kawasaki, una sindrome infiammatoria dei vasi sanguigni (vasculite) che colpisce principalmente i piccoli al di sotto dei cinque anni di età. Si ritiene possa esservi uno stretto legame con la pandemia di coronavirus SARS-CoV-2. Abbiamo intervistato la dottoressa Alessandra Marchesi per farci spiegare cos’è questa sindrome e come possa essere correlata al patogeno emerso in Cina.
Intervista alla Dott.ssa Alessandra Marchesi
Medico dell'Unità Operativa di Pediatria Generale e Malattie Infettive dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. Responsabile di alta specializzazione sulla Malattia di Kawasaki
A cura di Andrea Centini
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I pediatri di alcuni ospedali londinesi e del Nord Italia, tra i quali il Papa Giovanni XXIII di Bergamo, nelle ultime settimane hanno osservato un incremento nel numero di casi di bambini affetti da Malattia di Kawasaki, una sindrome infiammatoria che interessa i vasi sanguigni e che colpisce prevalentemente piccoli al di sotto dei cinque anni di età. L'incidenza rilevata da alcuni specialisti è risultata essere persino 30 volte superiore a quella del passato, con un numero di casi concentrati in un mese pari a quello dei tre anni precedenti. Poiché una percentuale significativa dei bambini con Malattia di Kawasaki è risultata positiva al tampone rino-faringeo e, come sottolineato dalla Pediatric Intensive Care Society, un'altra quota sensibile presenta anticorpi (o immunoglobuline) rilevati dai test sierologici, si ritiene possa esservi uno stretto legame tra l'infezione scatenata dal patogeno emerso in Cina e la Malattia di Kawasaki, così chiamata poiché descritta per la prima volta (nel 1967) dal pediatra giapponese Tomisaku Kawasaki. Per comprendere meglio cos'è questa patologia e il suo possibile legame col coronavirus, abbiamo intervistato la dottoressa Alessandra Marchesi, medico dell'Unità Operativa di Pediatria Generale e Malattie Infettive presso il Dipartimento di Medicina Pediatrica IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, oltre che responsabile di alta specializzazione sulla Malattia di Kawasaki. Ecco cosa ci ha raccontato.

Dottoressa Marchesi, com'è possibile un legame tra Malattia di Kawasaki e pandemia di coronavirus?
I colleghi del Nord Italia hanno visto un incremento dei pazienti affetti da Kawasaki, in particolar modo nelle zone di Bergamo. Già per la zona di Genova ci siamo confrontati con il dottor Ravelli, che è il presidente del gruppo di studi di reumatologia pediatrica della Società Italiana di Pediatria, e lui non ha visto un aumento così importante nel numero di casi di Kawasaki. Qui da noi a Roma, nel nostro ospedale, non c'è stato un aumento del numero di casi. In realtà noi abbiamo in questo periodo un numero praticamente simile all'atteso degli anni precedenti, con casi di una gravità e complessità sovrapponibili ai casi precedenti. Abbiamo una bambina che è andata in rianimazione, ma anche in passato abbiamo avuto pazienti che sono andati in terapia intensiva. Quindi dal punto di vista epidemiologico la situazione di Roma è sicuramente non così importante non come quella di altre regioni d'Italia. Il gruppo però si è attivato per cercare di raccogliere e selezionare casi che possiamo tutti quanti noi osservare, soprattutto quelli più complicati, per cercare di dare una spiegazione a quella che definirei essere una impressione. Al momento non possiamo dare nessun tipo di spiegazione causa-effetto tra COVID e Kawasaki, perché non abbiamo i dati. Sappiamo che magari pazienti COVID positivi a Bergamo hanno sviluppato anche la Kawasaki e che c'è stato un aumento dell'incidenza, però bisognerà studiare meglio i meccanismi sottostanti. Noi che trattiamo questa malattia abbiamo ben presente che la Kawasaki ha un substrato sicuramente di genetica, perché sappiamo che ci sono casi familiari dimostrati qua da noi e ancora meglio in Giappone, ma sappiamo anche che c'è un trigger infettivo che la scatena. Per cui se c'è un trigger infettivo della Kawasaki che poi è rappresentato dal coronavirus dobbiamo capire.

Questo possibile legame è stato osservato anche dai pediatri di Londra
Sì, ho visto, però è tutto da dimostrare, sicuramente. Dove c'è una maggiore incidenza di coronavirus, di COVID, chiamiamolo in entrambi i modi, sicuramente questa osservazione è stata fatta. Però forse è necessario trovare una correlazione più forte della semplice osservazione. Va studiata e capita. Noi siamo inondati da mail e messaggi di persone che hanno già avuto la Kawasaki e che ci chiedono informazioni in merito al legame col cornavirus, ma al momento non sappiamo. Poi magari l'anno prossimo rilasceremo delle dichiarazioni completamente differenti.

Che cos'è dunque, questa malattia di Kawasaki?
È una vasculite, un'infiammazione dei vasi, di tutti i vasi dell'organismo, quindi si chiama vasculite sistemica. Colpisce prevalentemente bambini sotto i cinque anni, ma non solo. Sono stati descritti casi in pazienti più grandi, in pazienti adolescenti, in pazienti adulti. Non ha purtroppo un marker specifico di diagnosi, per cui è una malattia che viene diagnosticata semplicemente sulla base di criteri clinici-diagnostici, e sulla base di questi criteri si distinguono poi le forme di cui abbiamo già magari sentito parlare. Quelle complete che hanno 4-5 criteri, oppure le forme incomplete che ne hanno semplicemente 2 o 3. E poi le forme “strane”, cosiddette atipiche.

Quali sono questi criteri?
I criteri sono rappresentati da febbre, che deve durare da più di cinque giorni. Arrossamento delle congiuntive senza la secrezione, questo è importante. Alterazioni delle labbra, della bocca, quindi labbra spaccate (in gergo cheilite). Rash cutaneo, quindi arrossamento cutaneo, eruzioni cutanee, che però non sono caratteristiche; possono essere simili al morbillo, alla scarlattina, all'orticaria, quindi purtroppo è un rash polimorfo dal punto di vista della diagnosi. Poi c'è un'alterazione a carico dei linfonodi del collo, un ingrossamento in genere monolaterale e non bilaterale. Questo è abbastanza caratteristico. E poi c'è un'alterazione a carico delle mani e dei piedi, un arrossamento del palmo della mano e della pianta dei piedi, un edema duro, quindi un indurimento delle mani e dei piedi, e ci può essere anche un interessamento della zona perianale, diciamo “del pannolino”. La cosa importante di per sé è che si tratta di una malattia che si auto limita, quindi questi segni e sintomi se non trattati possono anche scomparire. Il rischio però è che ci possono essere delle complicanze, complicanze sui vasi, soprattutto sulle coronarie, che possono presentare delle dilatazioni.

Quanto tempo dura la condizione?
In media se non trattata la febbre dura una decina, undici, dodici, quindici giorni. Ma ormai noi in tutto il mondo siamo abbastanza bravi a riconoscerla e a trattarla precocemente, proprio per evitare che ci siano queste complicanze coronariche.

Quindi c'è una cura per la malattia di Kawasaki
Certo. La terapia è rappresentata principalmente da immunoglobuline e aspirina. In alcuni casi selezionati ci può essere la terapia con cortisone oppure più complessa nei casi più resistenti, nei quali la febbre, nonostante la somministrazione delle immunoglobuline, tende a rimanere.

Può essere anche letale questa patologia?
Sì. Ci sono purtroppo anche dei casi letali, ma il rischio di mortalità è molto, molto basso. C'è un rischio di morte nell'immediato che è principalmente nei primi 45 giorni, come descritto in letteratura. Nei pazienti che sviluppano complicanze, cioè dilatazioni coronariche, è correlato ovviamente all'entità stessa della dilatazione, dunque può verificarsi anche successivamente.

Qual è l'incidenza della malattia in Italia?
In realtà non ci sono degli studi epidemiologici forti, per cui i dati sono molto vecchi e neanche riferibili. Però in realtà prima era considerata tra le malattie rare, e adesso con la revisione dei livelli di LEA è stata tolta da questo elenco. Per cui l'incidenza è aumentata, ma molto probabilmente non è aumentata solamente l'incidenza, ma anche la capacità diagnostica su questa malattia. Molto spesso in passato si parlava di semplici virosi.

Lei quindi crede che il coronavirus possa giocare un ruolo nell'emersione della Kawasaki?
Non lo escludiamo. Noi il trigger infettivo lo abbiamo presente e lo stiamo cercando da tanto tempo, per cui può anche essere che il coronavirus sia un possibile trigger. Ma una cosa fondamentale per noi è che c'è una disregolazione nella risposta immunitaria, perché non tutti i pazienti che sviluppano l'infezione sviluppano poi la Kawasaki. Vuol dire che qualcosa non va tra il mio sistema immunitario e la risposta al virus stesso. Questa correlazione dobbiamo andarla a cercare.

Una correlazione del genere è emersa anche con la SARS e la MERS? Dato che sono provocate da virus simili al SARS-CoV-2?
No, sicuramente non ci sono state delle discussioni da questo punto di vista. Anche perché in realtà, tutto sommato l'incidenza era inferiore. All'inizio di questa pandemia noi sapevamo dai dati cinesi che i bambini sembravano essere addirittura risparmiati. I dati riportati in letteratura davano un solo decesso tra pazienti di età pediatrica. Sicuramente l'incremento del numero di casi di SARS-CoV-2 ha aumentato ovviamente anche lo spettro sulla parte pediatrica.

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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