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Covid 19

Cosa significano le percentuali di efficacia dei vaccini (e perché proteggono più di quanto pensi)

Esistono diversi vaccini anti COVID già approvati e molti altri ne arriveranno in seguito, ciascuno con le proprie caratteristiche, sia in termini di piattaforma tecnologica che di percentuali di efficacia. Il significato di queste cifre può tuttavia essere facilmente frainteso, inoltre mettere a confronto l’efficacia dei vari farmaci non ha molto senso. Ecco perché.
A cura di Andrea Centini
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Giovedì 11 marzo l'Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha approvato per l'uso di emergenza il quarto vaccino contro il coronavirus SARS-CoV-2, l'Ad26.COV2.S, sviluppato dagli scienziati di Janssen Pharmaceutica del gruppo Johnson & Johnson. Gli altri tre sono il tozinameran/BNT162b2 (nome commerciale Comirnaty) sviluppato dal colosso farmaceutico Pfizer in collaborazione con l'azienda di biotecnologie tedesca BioNTech; l'mRNA-1273/CX-024414 di Moderna Inc. e National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID); e l'AZD1222/ChAdOx1 della casa biofarmaceutica britannico-svedese AstraZeneca, sviluppato dagli scienziati dello Jenner Intitute dell'Università di Oxford e della società italiana di Pomezia Advent-Irbm. Ciascuno di questi farmaci ha superato la sperimentazione clinica di Fase 3 (che ha coinvolto decine di migliaia di volontari) e i dati su sicurezza ed efficacia sono stati presentati all'autorità regolatoria europea, che dopo averli analizzati a fondo ha dato il via libera per la somministrazione.

Uno degli aspetti più interessanti di questi vaccini è naturalmente quello relativo all'efficacia, cioè alla capacità di proteggerci dalla COVID-19, la malattia provocata dal coronavirus SARS-CoV-2. Gli endpoint più significativi negli studi clinici sono sicuramente quelli riferiti alla protezione dalla malattia grave e soprattutto dalla morte, tuttavia risultano importanti anche l'efficacia contro l'infezione asintomatica – legata al rischio di trasmettere il virus nella comunità – e contro quella sintomatica. Quest'ultimo parametro è quello che generalmente campeggia nei titoli dei giornali quando si parla di efficacia di un vaccino anti COVID. Per fare un esempio, mesi addietro è stato annunciato che il vaccino BNT162b2 di Pfizer-BioNTech aveva un'efficacia del 95 percento; ci si riferiva proprio alla protezione contro la COVID-19 sintomatica. Allo stesso modo, dagli studi clinici è emerso che il vaccino di Moderna aveva un'efficacia generale del 94 percento; quello di AstraZeneca dell'82 percento (con seconda dose a 3 mesi dalla prima); e quello di Johnson & Johnson del 66 percento.

A una lettura superficiale di queste cifre, verrebbe da pensare che il Moderna e lo Pfizer risultino sensibilmente più efficaci degli altri due, soprattutto del Johnson & Johnson. Ma le cose stanno davvero così? Non proprio. Se andiamo a vedere i dati dell'efficacia contro la malattia grave emersi negli studi clinici, ad esempio, lo Pfizer presenta un'efficacia del 75 percento; il Moderna del 100 percento e il Johnson & Johnson dell'85 percento. Nel mondo reale, cioè testato sulle popolazioni, il vaccino di Pfizer ha dimostrato un'efficacia del 92 percento contro la malattia grave in Israele e dell'85 percento contro i ricoveri ospedalieri in Scozia, mentre l'AstraZeneca ha abbattuto i ricoveri in Scozia del 94 percento (più dello Pfizer). Un dato ancor più significativo è quello della protezione dalla morte per COVID-19: tutti i vaccini proteggono al 100 percento dal rischio di morire, che è il dato più importante in assoluto, tenendo presente che la pandemia di COVID-19 ha già causato oltre 2,6 milioni di morti, dei quali più di 100mila soltanto in Italia.

L'efficacia dei vaccini va dunque ben al di là delle percentuali con i quali vengono presentati, e ciò è vero anche per altre ragioni. Ad esempio, i vaccini di Pfizer e Moderna si basano sull'RNA messaggero, mentre il Johnson & Johnson e l'AstraZeneca su adenovirus resi innocui con l'ingegneria genetica. Le due tecnologie possono determinare differenti gradi di efficacia, così come una durata dell'immunità diversa (che ancora non è stata determinata per i vaccini COVID). Anche il numero di dosi e le tempistiche con cui vengono somministrate possono giocare un ruolo fondamentale. È vero che l'efficacia generale del Johnson & Johnson risulta essere del 66 percento, ma si basa su una singola dose di vaccino, senza richiamo o boost, che invece è presente per gli altri tre (la casa farmaceutica sta comunque sperimentando l'efficacia di una seconda dose). Nuove indagini hanno mostrato che il vaccino di AstraZeneca risulta più efficace (82 percento) quando la seconda dose viene somministrata a 3 mesi di distanza dalla prima, e non dopo 3 settimane come avvenuto nella fase clinica e in avvio della campagna vaccinale. Il Moderna mostra la massima efficacia quando il richiamo viene fatto a un mese di distanza, mentre per lo Pfizer l'intervallo indicato è di 21 giorni.

Va anche tenuto presente che le varie case farmaceutiche hanno testato in modo differente i propri vaccini, iniziando a raccogliere dati sulla COVID-19 sintomatica dei volontari a 7, 14 e 28 giorni a seconda dei casi, e ciò può influire sull'efficacia registrata. Anche il periodo in cui i vaccini sono stati testati è fondamentale. Se infatti quelli di Pfizer e Moderna sono stati sperimentati nel cuore del 2020, quello di Johnson & Johnson ha iniziato la Fase 3 della sperimentazione alla fine dell'anno, quando circolavano le varianti del coronavirus considerate più trasmissibili e potenzialmente in grado di eludere l'efficacia dei vaccini. Quindi l'efficacia del Johnson & Johnson potrebbe essere più vicina alla realtà nel contesto attuale rispetto a quella determinata per altri vaccini, quando tali varianti non circolavano. Perlomeno non così abbondantemente.

Insomma, confrontare l'efficacia dei vaccini basandosi sui freddi numeri ha alcun senso. Bisogna solo tener conto del fatto che sono stati tutti approvati dalle principali autorità sanitarie, che li hanno considerati sicuri e in grado di proteggere dalla COVID-19. Basti pensare che la soglia minima ritenuta accettabile dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per un vaccino anti COVID è del 50 percento. Ma se in uno studio clinico risulta un'efficacia del 95 percento, ciò non significa automaticamente che poi, nel mondo reale, su cento persone 95 saranno protette e 5 no. Sappiamo che sono tutti vaccini altamente efficaci e che proteggono dalla morte per COVID-19, al 100 percento. Meglio di così non si poteva davvero sperare. Il vero problema, a questo punto, non è l'efficacia dei vaccini, ma la disponibilità delle dosi, che continua a scarseggiare facendo rallentare la campagna vaccinale globale. La più grande messa in atto nella storia dell'umanità.

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