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Cosa si cela dietro i biocarburanti

Per coltivare colza, mais, soia, si affamano le popolazioni (dei paesi più poveri, ovviamente) e si mette a rischio la biodiversità, distruggendo l’habitat di molti animali: ci sono delle soluzioni?
A cura di Nadia Vitali
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Chilometri e chilometri di campi coltivati a soia, colza, granoturco: monocolture che impoveriscono terreni, i quali dovrebbero servire a fornire cibo al pianeta, a fronte della tanto agognata autonomia energetica che anche paesi poveri di combustibili fossili possono finalmente essere in grado di raggiungere. Una popolazione mondiale che aumenta e di cui bisognerebbe tutelare, in primo luogo, le risorse alimentari, ma che vede assottigliarsi sempre più le aree destinate alle colture locali, già minacciate dall'effetto serra e dalla desertificazione prevista per i prossimi decenni.

Biocarburanti. Fai un pieno di estinzione! si intitola l'articolo che presenta l'ultimo rapporto di Greenpeace dal nome Metti (l'estinzione di) un tigre nel motore che sottolinea come, paradossalmente, un'idea che sarebbe dovuta servire a migliorare l'ambiente, venga prodotta e consumata in modalità che creano danni ulteriori al nostro sempre più martoriato pianeta, in particolar modo ad ecosistemi che ospitano animali già in pericolo di estinzione i cui habitat vengono praticamente distrutti ed elimianti: biodiversità a rischio e natura aggredita, ancora una volta, laddove i presupposti dovevano essere ben diversi.

La colpa? Risiede principalmente nel fenomeno dell'Indirect land use change, ovvero nel cambio indiretto di destinazione d'uso dei terreni: poiché una norma europea aveva vietato, onde evitare il procedere inarrestabile della deforestazione, di utilizzare biocarburanti provenienti da suoli dove in precedenza c'era natura allo stato selvaggio ed inviolato, l'ostacolo è stato facilmente aggirato da chi è interessato agli introiti che l'affare porta inevitabilmente, talvolta proprio approfittando dell'inconsapevolezza dei consumatori. E così, dunque, terreni coltivati a fini alimentari vengono destinati alle colture per i biocarburanti, mentre il cibo viene prodotto su nuove zone ricavate proprio dalla deforestazione! Questo è il cambio indiretto, un trucchetto dei più banali che sta eliminando tutti i benefici che potevano venire dall'energia prodotta grazie a mais, bietola, canna da zucchero.

Il rapporto di Greenpeace segnala come la degradazione delle aree verdi quali, appunto, foreste ma anche pascoli e torbiere, crei un ulteriore aumento dei gas serra, nullificando, di fatto, i guadagni in termini di impatto ambientale che dovrebbero derivare dall'uso di fonti di energia alternative. Soluzioni? Innanzitutto l'organizzazione ambientalista chiede che venga costantemente monitorata la quantità delle emissioni di gas serra dei biocarburanti, dall'inizio del ciclo di produzione, fino all'utilizzo dei singoli utenti. In secondo luogo, la spinta verso coltivazioni a più basso impatto ambientale potrebbe dare risultati davvero risolutivi per il problema dell'inquinamento che appare sempre più come una minaccia a cui non si può fuggire, se non iniziando a diventare realmente responsabili dei propri comportamenti quotidiani sia come cittadini, sia come investitori: già tempo fa si era parlato di una interessante alternativa nelle alghe, ma chissà quando riusciremo a vedere i risultati di questa scoperta dell'Enea. E chissà se, nel frattempo, non sarà già stato pensato un nuovo metodo per ferire una volta ancora il nostro pianeta.

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