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Covid 19

Cosa sappiamo sulla variante C.1.2. del coronavirus che muta il doppio degli altri ceppi

Scoperta a maggio 2021 in Sudafrica, la variante C.1.2. del coronavirus SARS-CoV-2 preoccupa gli esperti non solo a causa di un mix problematico di mutazioni, associate a una maggiore trasmissibilità e a una certa resistenza agli anticorpi neutralizzanti, ma anche perché sta mutando a una velocità doppia rispetto agli altri ceppi del patogeno. C’è il rischio che possa prendere piede e soppiantare persino la variante Delta, sebbene al momento sia poco diffusa.
A cura di Andrea Centini
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Cellula umana infettata dal coronavirus SARS-CoV-2. Credit: NIAID
Cellula umana infettata dal coronavirus SARS-CoV-2. Credit: NIAID
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Come qualunque altro patogeno, anche il coronavirus SARS-CoV-2 continua a mutare naturalmente replicandosi nell'ospite e diffondendosi nelle comunità, dando vita a nuovi lignaggi che possono sfociare nelle famigerate varianti di preoccupazione (VOC) e varianti di interesse (VOI). Le prime, che al momento comprendono l'Alfa, la Beta, la Gamma e la Delta, come sottolineato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sono quelle che si dimostrano più aggressive, trasmissibili e/o con capacità elusive nei confronti degli anticorpi neutralizzanti (sia quelli indotti dai vaccini che quelli dovuti a una precedente infezione naturale); mentre le seconde pur dando vita a più focolai (in diversi Paesi) non manifestano ancora caratteristiche problematiche come quelle delle VOC. Oltre a questi ceppi principali che giocano un ruolo cruciale nella gestione della pandemia di COVID-19, c'è un grande sottobosco di varianti minori attentamente monitorate dagli scienziati, che potrebbero evolvere rapidamente i VOI o VOC. Tra queste varianti emergenti ve n'è una particolarmente significativa per gli scienziati, la C.1.2., identificata per la prima volta in Sudafrica nel maggio del 2021 e “figlia” della variante C.1, scomparsa a gennaio ma tra i principali motori della prima ondata nel Paese africano.

Le ragioni per cui in futuro potremmo sentir parlare spesso della variante C.1.2. sono molteplici. Diffusasi rapidamente in varie regioni del Sudafrica e rilevata anche in diversi altri Paesi, tra i quali Inghilterra, Cina, Nuova Zelanda, Svizzera e Portogallo, pur avendo una frequenza bassa tra le sequenze esaminate, essa presenta diverse caratteristiche che, nel caso in cui dovesse prendere piede, secondo gli esperti potrebbe addirittura sorpassare la variante attualmente dominante, ovvero la Delta (ex seconda indiana). A descrivere la C.1.2. nel dettaglio è stato un team di ricerca guidato da scienziati del National Institute for Communicable Diseases (NICD) del National Health Laboratory Service (NHLS) di Johannesburg, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi della Scuola di Patologia dell'Università del Witwatersrand e della Scuola di Medicina “Nelson Mandela” dell'Università KwaZulu-Natal di Durban. Gli scienziati, coordinati dalla professoressa Cathrine Scheepers, hanno innanzitutto determinato che la variante C.1.2 ha un tasso di mutazione di circa 41,8 mutazioni all'anno, che è praticamente il doppio dell'attuale tasso di mutazione riscontrato nelle altre varianti, come sottolineato su Twitter anche dall'epidemiologo Eric Feigl-Ding. Tale rapidità evolutiva permette alla variante di acquisire una serie di mutazioni che potrebbero renderla ancor più pericolosa. Al momento oltre la metà delle sequenze della C.1.2 presenta 14 mutazioni, tuttavia molte ne presentano un numero superiore, sintomo che l'evoluzione è ancora pienamente in corso.

Le mutazioni già identificate sono considerate problematiche dagli esperti poiché già osservate in altre varianti di preoccupazione e associate a una trasmissibilità superiore, così come a una maggiore elusività nei confronti degli anticorpi neutralizzanti. Oltre la metà di queste mutazioni è localizzata nella proteina S o Spike del coronavirus, il grimaldello biologico che il patogeno sfrutta per legarsi alle cellule umane e infettarle. Due di esse, chiamate N440K e Y449H, sono cosiddette mutazioni di “fuga immunitaria” che possono aiutare il virus a eludere gli anticorpi e altre risposte immunitarie, pertanto sono considerate di "maggiore preoccupazione". C.1.2 presenta anche la mutazione N501Y, associata a una maggiore capacità di trasmissione. Due delle mutazioni sopraindicate sono state trovate in tre delle quattro varianti di preoccupazione (Alfa, Beta e Gamma) circolanti.

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Tra le altre mutazioni significative rilevate sulla proteina Spike vi sono anche le sostituzioni R190S, D215G, N484K, H655Y e T859N e le delezioni Y144del, L242-A243del. “In relazione a una riduzione della neutralizzazione, oltre all'E484K, ci sono anche delezioni nella posizione 144 e nelle posizioni 242-243, le delezioni in 144 si vedono anche nell'Alfa e in 242-243 nella Beta, che si associano ad una diminuzione nella neutralizzazione degli anticorpi”, ha dichiarato su Twitter il coautore dello studio Tulio de Oliveira.

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Pur avendo questo pericoloso mix di mutazioni, tuttavia, non è affatto detto che la variante C.1.2 si imporrà globalmente come l'Alfa o la Delta. Anzi, gli esperti non escludono che possa estinguersi come accaduto per altri lignaggi. “Anche se possiamo dire che ha alcune mutazioni chiave che hanno portato ad altre varianti più infettive, spesso ciò che troviamo è che le mutazioni lavorano in sinergia, il che può portare a un virus potenzialmente più adatto o a un virus più debole”, ha dichiarato al Guardian la professoressa Megan Steain, virologa e docente di immunologia e malattie infettive presso la Central Clinical School dell'Università di Sydney. “C.1.2 dovrebbe essere abbastanza brava, abbastanza efficace e abbastanza veloce per superare la Delta in questa fase”, ha aggiunto la scienziata. “Penso che siamo ancora a un punto in cui potrebbe estinguersi, la prevalenza è davvero bassa. Lo abbiamo visto con la variante Beta e altre varianti preoccupanti, presenti in aree in cui venivano trasmesse e diffuse abbastanza bene. Ma poi non hanno davvero preso piede nel tempo e sono state sorpassate da altre varianti di preoccupazione, che sono in grado di trasmettersi più rapidamente. E quindi essenzialmente si estinguono. Questo potrebbe facilmente accadere con C.1.2”, ha concluso la scienziata australiana.

Sebbene dunque siamo innanzi a una variante particolarmente mutata – la più lontana in assoluto dal ceppo originale di Wuhan come affermato dal professor Eric Feigl-Ding – non è assolutamente detto che possa “esplodere” come effettiva variante di preoccupazione, pur avendo diverse "carte in regola" per imporsi. Infine, qualora dovesse prendere piede, sebbene le sue caratteristiche suggeriscano una certa capacità di eludere parzialmente la risposta immunitaria, secondo la professoressa Steain “i vaccini continueranno a offrire elevati livelli di protezione contro il ricovero e la morte”. I dettagli sulla variante C.1.2 sono stati pubblicati nell'articolo "The continuous evolution of SARS-CoV-2 in South Africa: a new lineage with rapid accumulation of mutations of concern and global detection", al momento disponibile su MedrXiv e non ancora sottoposto a revisione paritaria.

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