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Covid 19

Cosa sappiamo sulla paziente 1 con COVID in Italia e il sintomo della dermatosi

Analizzando una biopsia cutanea di una ragazza italiana di 25 anni che si presentò in ospedale nel novembre 2019 con una dermatosi alle braccia, un team di patologi internazionale guidato da scienziati dell’Università degli Studi di Milano ha dimostrato che la causa è stata un’infezione da coronavirus SARS-COV-2. La donna potrebbe essere il “paziente 1” nel nostro Paese.
A cura di Andrea Centini
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Il primo caso noto di infezione da coronavirus SARS-CoV-2 in Italia è quello di una ragazza di 25 anni che a novembre del 2019 si presentò in un ospedale milanese con una dermatosi sulle braccia e un lievissimo mal di gola. All'epoca il patogeno era ancora del tutto sconosciuto, e benché proprio a novembre si iniziarono a registrare i primi casi di una “misteriosa polmonite nella provincia cinese di Wuhan, solo all'inizio del 2020 fu individuato il responsabile, che nel giro di poche settimane diede vita alla catastrofica pandemia di COVID-19 che stiamo ancora vivendo. Il caso della donna italiana è peculiare non solo perché risale allo stesso mese in cui viene collocato il primo caso in assoluto in Cina, quello di un cinquantacinquenne ricoverato domenica 17 novembre, ma perché si tratta anche di quello più datato in letteratura scientifica.

La diagnosi, naturalmente fatta a posteriori perché nessuno all'epoca veniva sottoposto al tampone oro-rinofaringeo per la PCR, è merito di un team di ricerca internazionale guidato da scienziati dell'Università degli Studi di Milano, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Patologia dell'Istituto Europeo di Oncologia (IEO), dell'Unità di Patologia del Centro Diagnostico Italiano, del Dipartimento di Dermatologia dell'Ospedale Universitario de Móstoles – Università Rey Juan Carlos di Madrid e dell'Healthcare Investment Banking del Regno Unito. Gli scienziati, coordinati dal professor Raffaele Gianotti, dermatopatologo presso l'ateneo meneghino la Fondazione Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, hanno fatto questa scoperta dopo aver deciso di indagare su dermatiti atipiche rilevate verso la fine del 2019, quando è noto che il coronavirus SARS-CoV-2 stesse già serpeggiando nel nostro Paese.

Come evidenziato da un'indagine della British Association of Dermatologists (l'Associazione Britannica dei Dermatologi) e da altri studi condotti in tutto il mondo, il patogeno emerso in Cina può determinare l'insorgenza di varie tipologie di patologie cutanee, che possono essere simili all'orticaria, ai geloni, ad eczemi e ad altre manifestazioni che ricordano quelle di altre patologie infettive (ad esempio la varicella). Si manifestano nel 10-15 percento dei casi. Gianotti e colleghi hanno deciso di analizzare in laboratorio le biopsie prelevate dai pazienti con manifestazioni dermatologiche atipiche in tempi “non sospetti”, proprio per verificare se alcune di esse fossero provocate dal coronavirus SARS-CoV-2. “Dopo aver studiato le manifestazioni cutanee in pazienti affetti da COVID-19 dell’area milanese, ho riesaminato al microscopio le biopsie di malattie cutanee atipiche eseguite alla fine del 2019 in cui non era stato possibile effettuare una diagnosi ben precisa. Abbiamo cercato nel passato perché nei nostri lavori già pubblicati su riviste internazionali, abbiamo dimostrato che esistono, in questa pandemia, casi in cui l’unico segno di infezione da COVID-19 è quello di una patologia cutanea. Mi sono domandato se avessimo potuto trovare indizi della presenza della SARS-CoV-2 nella cute di pazienti con solo malattie della pelle prima dell’inizio della fase epidemica ufficialmente riconosciuta”, ha specificato l'esperto in un comunicato stampa.

Tra i casi di dermatiti atipiche coinvolti nello studio vi era anche quello della venticinquenne, che si presentò in ospedale con una “con dermatosi orticarioide simile a una placca sulle braccia”, come si legge nell'abstract dello studio. L'unico sintomo sistemico presentato dalla donna era un lieve mal di gola, e all'epoca gli studiosi sospettarono un caso di “lupus eritematoso tumidus”. Rianalizzando i dati raccolti sulla dermatosi nel luglio 2020, Gianotti e colleghi si resero conto che la manifestazione aveva tutte le caratteristiche dei “mini-geloni” evidenziati in diversi pazienti COVID, e hanno così deciso di indagare più approfonditamente sul campione biologico. Sottoponendo la biopsia a test immunoistochimici, gli scienziati hanno rilevato gli antigeni nucleocapsidici del coronaSARS-CoV-2, confermando che la donna era stata infettata dal patogeno. L'RNA del virus è stato rilevato anche attraverso un secondo test chiamato analisi RNA-FISH effettuata presso lo IEO. “Nel caso della giovane donna è stato possibile dimostrare mediante indagini immunoistochimiche effettuate presso il nostro laboratorio la presenza di antigeni virali nelle ghiandole sudoripare”, ha dichiarato il dottor Giovanni Fellegara del Laboratorio di Anatomia Patologica del Centro Diagnostico Italiano. “Abbiamo dimostrato la presenza di sequenze virali SARS-CoV-2, anche quantitativamente scarse, sul preparato istologico del 2019 ed anche in sei pazienti del 2020 affetti solo da dermatosi ma senza sintomi sistemici da infezione COVID-19”, gli ha fatto eco Massimo Barberis, che dirige l’Unità Clinica di Diagnostica Istopatologica e Molecolare dell’Istituto Europeo di Oncologia.

Le lesioni cutanee della ragazza sono sparite cinque mesi dopo la prima diagnosi, mentre l'esposizione al coronavirus SARS-CoV-2 è stata dimostrata anche attraverso un test sierologico condotto nel mese di giugno, quando furono evidenziati anticorpi neutralizzanti IgG. I dettagli sul caso clinico sono stati descritti nell'articolo “COVID-19 related dermatosis in November 2019. Could this case be Italy’s patient zero?” pubblicato sulla rivista scientifica British Journal of Dermatology, tra le più prestigiose riviste in assoluto del settore.

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