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Covid 19

Coronavirus trovato nello sperma: “Può infiammare i testicoli e ridurre produzione di spermatozoi”

Il coronavirus SARS-CoV-2 è stato rilevato nel liquido seminale del 15 percento dei pazienti testati. Tra le possibili conseguenze, secondo la Società Italiana di Urologia, l’alterazione nella produzione degli spermatozoi e del testosterone. I dati sono ancora preliminari e dovranno essere confermati da ulteriori indagini.
A cura di Andrea Centini
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Spermatozoi
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Com'è ormai noto da diversi studi scientifici, pur essendo un virus respiratorio il SARS-CoV-2 è in grado di colpire diversi organi, fra i quali l'intestino, il cuore e il cervello. L'aggressione del patogeno emerso in Cina può essere sia diretta che indiretta. Nel primo caso le particelle virali vengono trovate direttamente nelle cellule dei tessuti interessati, nel secondo possono essere coinvolti coaguli di sangue, che la COVID-19 (l'infezione innescata dal virus) può determinare. Ci sono sempre più evidenze che il SARS-CoV-2 possa colpire anche i testicoli e gli spermatozoi; sulla base dei dati preliminari di uno studio multicentrico, è emerso che il patogeno viene rilevato nel liquido seminale del 15 percento dei pazienti analizzati, col rischio che determini “alterazioni nella produzione degli spermatozoi e nella funzione endocrina dei testicoli”.

Ad annunciare il potenziale impatto del nuovo coronavirus sugli organi sessuali maschili è un team di esperti della Società Italiana di Urologia (SIU), che sta coordinando lo studio di cui sopra. La presenza del patogeno nello sperma può innescare uno stato infiammatorio su base vascolare “che provoca gli stessi sintomi dell'orchite”, scrive la SIU. L'orchite, spiega il Manuale MSD per specialisti della Medicina, è una infiammazione dei testicoli tipicamente correlata al virus della parotite (i cosiddetti “orecchioni”), caratterizzata da dolore e gonfiore testicolare. Gli esperti della SIU affermano che tali condizioni possono essere osservate anche in parte dei pazienti con COVID-19, che presentano anche arrossamento dello scroto. Questa situazione, “a lungo termine, può creare le condizioni per l'ipogonadismo”, sottolinea la SIU, con un impatto sulla produzione di testosterone.

L'alterazione ormonale sembra legata all'elevata concentrazione di prolattina nel sangue, afferma la SIU, che a sua volta può avere conseguenze sul desiderio sessuale. Quest'ultimo potrebbe essere mitigato anche dalla condizione psicologica del paziente innescata dalla malattia; del resto, sebbene in Italia la fase più critica dell'epidemia è alle spalle, la COVID-19 ha contagiato circa 240mila persone e ne ha uccise poco meno di 35mila soltanto nel nostro Paese, con un tasso di letalità del 14,5 percento (anche se il numero effettivo di infettati si pensa sia sensibilmente superiore).

La SIU afferma che al momento si tratta solo di dati preliminari, dato che le indagini sono ancora in corso e il numero di pazienti coinvolto ancora contenuto. “Alcuni studi farebbero pensare a un possibile coinvolgimento del testicolo nel corso dell’infezione, probabilmente mediato da un’infiammazione locale e/o sistemica che potrebbe consentire a un'alta carica virale di superare la barriera emato-testicolare”, ha sottolineato il professor Roberto Scarpa, Presidente della Società Italiana di Urologia e direttore dell’Unità Operativa Complessa di Urologia del Campus Biomedico di Roma. “A oggi sono ancora poche le indagini condotte e pochi i campioni di pazienti coinvolti, per accertare la presenza del virus nel liquido seminale. Anche i risultati ottenuti fin qui sono contrastanti. I dati attualmente a disposizione non hanno dunque una validità scientifica oggettiva”, ha aggiunto lo specialista su Quotidiano Sanità.

Tra i primi a rilevare RNA virale nello sperma dei pazienti con coronavirus vi sono stati gli scienziati dell'Ospedale Generale dell'Esercito di Liberazione del Popolo Cinese e del Centro nazionale di ricerca clinica per le malattie renali, che hanno analizzato campioni di 50 ricoverati nell'ospedale di Shangqiu. La presenza del virus nei testicoli potrebbe essere legata alla presenza nelle cellule testicolari del recettore ACE2, quello cui il patogeno si lega attraverso la proteina S o Spike per disgregare la parete cellulare, entrare all'interno e avviare il processo di replicazione, dando il via all'infezione vera e propria. Questo meccanismo, spiega il professor Rocco Damilano, membro della SIU e direttore della Scuola di Specializzazione di Urologia presso l’Università Magna Graecia di Catanzaro, può innescare infiammazione del testicolo e dell'epididimo; l'infiammazione vascolare può essere anche determinata dall'alterazione della coagulazione caratteristica della COVID-19. “Non sembra esserci un effetto diretto del virus, ma sempre mediato dall’infiammazione”, specifica Damilano.

Poiché si ritiene che il virus trovato nel liquido seminale possa essere coinvolto anche nella trasmissione dell'infezione – un aspetto tutto da dimostrare – per precauzione gli specialisti raccomandano ai positivi di aspettare il secondo tampone negativo prima di riprendere i rapporti sessuali.

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