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Coronavirus, ecco la mutazione che ha permesso di infettare l’uomo: scoperta da italiani

Un team di ricerca dell’Università Campus Bio-medico di Roma ha ricostruito la mutazione genetica che ha permesso al nuovo coronavirus emerso in Cina (SARS-CoV-2) di infettare anche l’uomo. La modifica del “salto di specie” si è verificata sulle cosiddette spike o spicole, strutture proteiche sulla superficie del patogeno che permettono la penetrazione nelle cellule. Sarebbe avvenuta tra il 20 e il 25 novembre.
A cura di Andrea Centini
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La morfologia ultrastrutturale del nuovo coronavirus Credit: Centers for Disease Control and Prevention (CDC) in Atlanta, Georgia, U.S. January 29, 2020. Alissa Eckert, MS; Dan Higgins, MAM/CDC/Handout
La morfologia ultrastrutturale del nuovo coronavirus Credit: Centers for Disease Control and Prevention (CDC) in Atlanta, Georgia, U.S. January 29, 2020. Alissa Eckert, MS; Dan Higgins, MAM/CDC/Handout
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Scienziati italiani hanno ricostruito l'“albero genealogico” del nuovo coronavirus emerso in Cina (SARS-CoV-2), intercettando la mutazione fondamentale che ha permesso di fare il salto di specie da animale a uomo. In altri termini, hanno individuato la modifica nel patrimonio genetico del patogeno che ha permesso al virus di infettare anche l'uomo e diffondersi nelle comunità, dando vita all'epidemia di COVID-19 (l'infezione scaturita dal virus). Questa mutazione si sarebbe verificata esattamente tra il 20 e il 25 novembre dello scorso anno, verosimilmente a Wuhan, città-epicentro nella provincia dello Hubei, dove i primi casi di una “misteriosa polmonite” hanno iniziato a circolare verso la fine di dicembre, mentre il medico Li Wenliang provava ad avvisare dell'infezione amici, parenti e colleghi, ma veniva messo a tacere dalle autorità. Dalla nascita del “virus umano” all'isolamento forzato della città cinese, avvenuto verso la fine di gennaio, sono trascorsi due mesi cruciali, che hanno permesso all'infezione di circolare indisturbata nel mondo e colpire duramente anche l'Italia.

A ricostruire la mutazione che ha permesso al virus di fare il salto di specie è stato un team di ricerca tutto italiano, il gruppo di Statistica Medica ed Epidemiologia Molecolare presso l'Università Campus Bio-medico di Roma. Gli scienziati, guidati dal professor Massimo Ciccozzi, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato a fondo il genoma del virus reso disponibile sulle banche dati genetiche internazionali GISAID (Global Initiative on Sharing All Influenza Data) e GenBank. Attraverso calcoli bioinformatici hanno ricostruito il percorso evolutivo del patogeno che circolava normalmente negli animali; hanno innanzitutto individuato le due prime mutazioni in proteine strutturali, ma è stata la terza quella che ha permesso il passaggio dall'animale all'uomo, che ha coinvolto le cosiddette spicole o “spike”.

Le spicole sono strutture di glicoproteina che attraversano il pericapside (o peplos) del coronavirus, il suo guscio esterno, e osservate dall'alto con un potente microscopio elettronico donano al patogeno la caratteristica forma a corona, dal quale deriva il nome del gruppo. SARS-CoV-2 e gli altri coronavirus usano queste “punte” – ben visibili nel render che evidenzia la morfologia ultrastrutturale del patogeno – come grimaldelli per penetrare nelle cellule e dare luogo alla replicazione/infezione. Nei coronavirus queste strutture sono relativamente stabili, ma quando mutano possono permettere il salto di specie e dunque diffondersi in nuovi ospiti. È esattamente ciò che è accaduto col nuovo coronavirus, che condivide oltre l'80 percento del proprio genoma con quello della SARS e primariamente circolava nei pipistrelli (molto probabilmente nella specie Rhinolophus affinis). L'ospite intermedio che ha permesso il passaggio all'uomo non è ancora stato identificato; tra le specie papabili ci sono il pangolino, lo zibetto e il maiale.

Aver individuato la mutazione delle spike e le altre due ha permesso di ricostruire la “carta d'identità del coronavirus”, ha spiegato all'ANSA il primo autore dello studio Domenico Benvenuto. “Ci insegna che è più virulento rispetto a quello della SARS, ma meno pericoloso”, ha aggiunto il giovane ricercatore che sta preparando la tesi. “La prossima settimana contiamo di avere tutte le sequenze italiane per capire se il ceppo è lo stesso. È importante continuare a seguirlo finché non sparirà perché è molto contagioso, anche se tre volte meno letale della Sars”, ha affermato all'ANSA il professor Ciccozzi. I dettagli dello studio italiano saranno presto disponibili sulla rivista scientifica specializzata Journal of Clinical Virology.

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