Coronavirus e gruppo sanguigno: cosa dicono gli esperti su rischi e “protezione”
Una delle caratteristiche più enigmatiche della COVID-19, l'infezione provocata dal coronavirus SARS-CoV-2, risiede nella sua trasversalità: oltre a poter colpire con un ampio ventaglio di sintomi, infatti, ha come vittime “privilegiate” gli uomini anziani con comorbilità, in particolar modo quelli che soffrono di patologie cardiovascolari e diabete, eppure è stato ampiamente dimostrato che può causare complicanze gravissime (fino al decesso) anche in giovani e giovanissimi in buona salute. Gli scienziati stanno ancora cercando di comprendere il significato di questi pochi ma significativi casi, ma si pensa che possa giocare un ruolo il patrimonio genetico. Una delle sue espressioni è il gruppo sanguigno, che com'è noto non è uguale per tutti. Diversi studi hanno trovato associazioni contrastanti, e ancora oggi si sta cercando di comprenderne l'effettivo ruolo nella patologia.
L'ultima ricerca in ordine cronologico ad essere stata pubblicata è quella condotta da medici e scienziati del Dipartimento di Chirurgia presso il Massachusetts General Hospital (MGH), che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Beth Israel Deaconess Medical Center (BIDMC) di Boston. I ricercatori, coordinati dai professori Christopher A. Latz e Anahita Dua della Divisione di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare, hanno analizzato i dati di oltre 7.500 pazienti sottoposti al tampone rino-faringeo per il coronavirus SARS-CoV-2. Fra essi sono risultati 1.300 positivi con gruppo sanguigno noto, che è stato messo in relazione con le conseguenze dell'infezione. Ebbene, incrociando i dati è emerso che non vi era alcuna associazione tra gruppo sanguigno e rischio di intubazione o morte per i pazienti con COVID-19. Chi aveva i gruppi B e AB sottoposti al test avevano maggiori probabilità di risultare positivi, mentre il gruppo sanguigno 0 presentava una minor probabilità di risultare positivo (anche se con una differenza poco significativa). Anche chi aveva il fattore Rh positivo mostrava maggiori probabilità di risultare positivo.
Un precedente studio internazionale, condotto da scienziati dell'Istituto di Biologia Clinica Molecolare presso l'Università Christian-Albrechts e pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica The New England Journal of Medicine, aveva invece dimostrato che i pazienti con gruppo sanguigno A hanno un rischio superiore di sviluppare sintomi più gravi della COVID-19, mentre quelli con gruppo 0 sembrano avere una certa protezione. A sottolineare i risultati dell'indagine il professor Luca Valenti, medico del Centro Trasfusionale del Policlinico di Milano e tra i coautori dello studio. “Con la nostra ricerca abbiamo stabilito che il gruppo sanguigno è uno dei principali fattori ereditari che predispongono a sviluppare una malattia più grave per la COVID-19. In particolare i risultati ci dicono che il gruppo sanguigno A ha un rischio aumentato di compromissione polmonare severa, mentre chi appartiene al gruppo 0 è più protetto. E dato che il gruppo sanguigno è ereditario, è possibile concludere che è ereditaria anche la predisposizione ai sintomi più gravi per questa malattia”.
Una terza ricerca – non ancora sottoposta a revisione tra pari – condotta su circa 1600 pazienti ricoverati a New York ha fatto emergere che una percentuale minore di essi aveva il gruppo sanguigno di tipo 0, pur essendo quest'ultimo il più diffuso. Uno studio condotto dal colosso delle biotecnologie 23&Me sui profili genetici di ben 750mila persone (10mila delle quali positive al SARS-CoV-2) aveva invece determinato che le persone con gruppo sanguigno 0 hanno minori probabilità di risultare positive, così come un'indagine effettuata a Wuhan da scienziati cinesi. Varie ricerche sembrano dunque concordare su un potenziale fattore protettivo del gruppo 0, mentre sul rischio di complicazioni per chi ha il gruppo A i risultati sono contrastanti. Va tuttavia tenuto presente che in molti casi le statistiche sono così poco significative da spingere gli scienziati a non considerare il gruppo sanguigno un fattore di rischio o protettivo.
“Nessuno dovrebbe pensare di essere protetto”, ha dichiarato al New York Times il professor Nicholas Tatonetti, dell'Università Columbia, riferendosi a chi ha il gruppo sanguigno 0. “Con questo nuovo articolo, è stato probabilmente deciso che i gruppi sanguigni non influenzano l'esito della malattia”, ha aggiunto il dottor Joern Bullerdiek dell'Università di medicina di Rostock (Germania), riferendosi ai risultati dell'articolo guidato dal Massachusetts General Hospital (MGH). Gli scienziati continueranno a indagare a fondo sull'associazione tra COVID-19 e gruppi sanguigni; del resto è noto che questi ultimi possono essere fattori di rischio per alcune patologie infettive, anche alla luce delle differenze negli anticorpi prodotti.