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Covid 19

Contagio da COVID possibile in 5 minuti e da 6 metri: rischi della trasmissione aerea confermati

Analizzando un particolare caso di contagio avvenuto all’interno di un locale chiuso della città di Jeonju, un team di ricerca sudcoreano ha dimostrato che se c’è un flusso d’aria che investe direttamente un positivo al coronavirus il contagio può verificarsi anche in soli cinque minuti e a oltre 6 metri di distanza.
A cura di Andrea Centini
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Il principale metodo di trasmissione della COVID-19, l'infezione provocata dal coronavirus SARS-CoV-2, è attraverso le goccioline respiratorie (droplet) che espelliamo quando tossiamo, starnutiamo, parliamo, cantiamo e anche quando semplicemente respiriamo. Tuttavia indagini recenti hanno dimostrato che anche la trasmissione aerea attraverso gli aerosol può giocare un ruolo nella diffusione del patogeno, tanto da aver spinto i Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (CDC – Centers for Disease Control and Prevention) americani a modificare le linee guida dedicate alla gestione della pandemia. Un nuovo studio sembra suffragare ampiamente lo scenario della trasmissione aerea, a tal punto da far scricchiolare anche il concetto di “contatto stretto” a rischio (tutti coloro che si trovano a meno di 2 metri da un positivo per almeno 15 minuti di tempo). Basti pensare che in base alla nuova ricerca, una ragazza è stato infettata dopo soli 5 minuti di esposizione e a oltre 6 metri di distanza dalla “fonte”. Il contaggio è avvenuto in un locale chiuso (un ristorante) a causa del flusso d'aria sprigionato da un condizionatore.

A condurre lo studio è stato un team di ricerca sudcoreano guidato da scienziati della Scuola di Medicina dell'Università Nazionale di Jeonbuk, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Jeonbuk Center for Infectious Disease Control and Prevention, dell'Agenzia coreana per il controllo e la prevenzione delle malattie e di altri istituti. Gli scienziati, coordinati dal professor Ju-Hyung Lee, esperto di Malattie Infettive presso il Dipartimento di Medicina Preventiva dell'ateneo sudcoreano, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato nel dettaglio ciò che si è verificato in un ristorante di Jeonju, dove alcuni clienti sono stati contagiati dal coronavirus SARS-CoV-2 da parte di un visitatore proveniente da fuori città. Il caso di Jeonju è stato piuttosto significativo per gli epidemiologi poiché in città per due mesi non era stato registrato alcun caso, poi è risultata positiva una ragazza di una scuola superiore che non lasciava l'area da settimane.

Grazie al sofisticato (e controverso) sistema di tracciamento dei contatti messo a punto dai CDC sudcoreani, grazie al quale è possibile rilevare gli spostamenti delle persone in soli 10 minuti grazie a dati GPS del cellulare e all'uso della carta di credito, è stato rilevato che la ragazza era stata in “contatto” con un positivo – una venditrice porta a porta – per soli 5 minuti all'interno del ristorante. In realtà il contatto tra le due donne è stato a dir poco fugace. Dalle indagini condotte da Lee e colleghi, basate anche su dati raccolti tramite interviste, immagini delle telecamere a circuito chiuso e posizione dei telefoni cellulari, è stato determinato che non si sono mai parlate, non hanno toccato le stesse posate, le stesse maniglie delle porte e simili. Inoltre si sono sedute a 6,5 metri l'una dall'altra. Nonostante ciò la ragazza (così come altri due avventori del ristorante) è rimasta comunque contagiatia. Com'è possibile?

Grazie al supporto di un ingegnere specializzato in aerodinamica, gli scienziati hanno identificato il veicolo del contagio in un condizionatore d'aria, il cui flusso partiva dal soffitto, investiva la donna positiva e raggiungeva diverse persone lungo la traiettoria, compresa la studentessa. Secondo gli scienziati la ragazza è stata colpita da una dose significativa di particelle virali, che viaggiavano a un 1,2 metri al secondo. Le goccioline di aerosol verosimilmente erano più grandi di 50 micrometri, come specificato dalla professoressa Linsey Marr del Virginia Tech al Los Angeles Times. Altri clienti del locale, più vicini alla donna positiva ma col flusso d'aria alle spalle, non sono stati infatti contagiati, come mostra la grafica che potete osservare qui in basso. Secondo l'esperta americana “mangiare in un ristorante è una delle cose più rischiose che si possa fare durante una pandemia”, perché “anche se c'è una distanza, come mostrano questo e altri studi, essa non è sufficiente”. Va tuttavia tenuto presente che il locale di Jeonju non aveva finestre e un sistema di ventilazione (al di là del condizionatore) per veicolare in modo adeguato i flussi d'aria e soprattutto promuovere il ricambio della stessa. Quindi altri locali risultano indubbiamente più sicuri.

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Poiché comunque in alcune circostanze il contagio si può verificare in un lasso di tempo molto breve e anche a distanze molto maggiori di quelle di sicurezza, se c'è un flusso d'aria diretto su una persona infetta, Lee e colleghi sottolineano che per il controllo “di questa malattia altamente contagiosa sono necessarie linee guida aggiornate che coinvolgono la prevenzione, la ricerca dei contatti e la quarantena per COVID-19”, come indicato nell'abstract dello studio. L'articolo “Evidence of Long-Distance Droplet Transmission of SARS-CoV-2 by Direct Air Flow in a Restaurant in Korea” è stato pubblicato sulla rivista scientifica specializzata Journal of Korean Medical Science (JKMS).

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