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Covid 19

Contagiarsi col coronavirus attraverso le superfici è “inconsueto”, secondo un nuovo studio

Sebbene diverse ricerche hanno rilevato che il coronavirus SARS-CoV-2 può “sopravvivere” per diverse ore – quando non giorni – su una data superficie, il contagio entrando in contatto con esse è considerato inconsueto secondo un nuovo studio condotto da scienziati americani. La via dominante resta quella respiratoria.
A cura di Andrea Centini
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Nel documento “Raccomandazioni ad interim sulla sanificazione di strutture non sanitarie nell’attuale emergenza COVID-19: superfici, ambienti interni e abbigliamento” pubblicato dall'Istituto Superiore della Sanità (ISS) è indicato quanto tempo “resiste” il coronavirus SARS-CoV-2 su una data superficie. Analisi di laboratorio hanno evidenziato ad esempio che particelle virali infettanti possono resistere fino a 7 giorni sulla superficie esterna delle mascherine; fino a 4 giorni sullo strato interno delle mascherine, sulla plastica e sull'acciaio inox; fino a 2 giorni su vetro e banconote; fino a un giorno su tessuto e legno; fino a 30 minuti su carta da stampa e così via. Benché si tratti di intervalli di tempo significativi, il mondo reale è molto diverso da un test di laboratorio, e in base a quanto è emerso da un nuovo e approfondito studio, la trasmissione del patogeno attraverso il contatto con superfici contaminate viene definito come “inconsueto”, mentre quello respiratorio resta quello dominante.

A determinare il basso rischio di trasmissione legato al contatto con le superfici è stato un team di ricerca americano guidato da scienziati del Dipartimento di Medicina del Montefiore Medical Center di New York, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dell'Ospedale dell'Università della Pennsylvania di Philadelphia, del Massachusetts General Hospital e del Brigham and Women's Hospital di Boston. Gli scienziati, coordinati dal professor Eric A. Meyerowitz della Divisione di Malattie Infettive, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver condotto un'accurata revisione dei dati emersi da studi, articoli e rapporti istituzionali e governativi pubblicati tra gennaio e settembre di quest'anno.

“Sebbene diversi studi sperimentali abbiano coltivato virus vivi da aerosol e superfici ore dopo l'inoculazione, le analisi condotte nel mondo reale per rilevare l'RNA virale nell'ambiente riportano livelli molto bassi, e pochi hanno isolato virus vitali”, hanno scritto Meyerowitz e colleghi nell'abstract del proprio studio. “Le prove indicano che la trasmissione respiratoria è quella dominante, con la vicinanza e la ventilazione a rappresentare fattori chiave nel rischio di trasmissione”, hanno aggiunto gli studiosi. In parole semplici, stare al chiuso in un ambiente non correttamente areato e senza rispettare il distanziamento sociale, rappresenta il rischio maggiore per il contagio. Principalmente a causa del droplet, le goccioline che espelliamo quando parliamo, tossiamo, starnutiamo o semplicemente respiriamo, e molto meno per l'aerosol, secondo gli autori dello studio.

“Nei pochi casi in cui si presume il contatto diretto o la trasmissione da fomiti (tutti quegli oggetti che una volta contaminati diventano potenzialmente infettivi ndr), la trasmissione respiratoria non è stata completamente esclusa”, dunque, alla luce di tutti questi dati, “si presume che il contatto diretto e la trasmissione da fomiti siano solo una modalità di trasmissione insolita”, sottolineano gli autori dello studio nei punti chiave della propria indagine. Naturalmente i risultati di questo studio non devono far abbassare la guardia sulla corretta igiene delle mani con acqua e sapone o un gel idroalcolico, che rappresenta uno dei tre baluardi (assieme a mascherina e distanziamento di almeno un metro) per spezzare la catena dei contagi.

Gli scienziati americani hanno anche evidenziato che i positivi al coronavirus SARS-CoV-2 raggiungono il massimo livello di contagiosità il giorno prima di sviluppare i sintomi (quindi nella fase presintomatica), e già una settimana dopo la loro comparsa essa cala sensibilmente. I ricercatori hanno concluso la propria indagine sottolineando che sebbene virus vitale sia stato isolato dalle feci e l'RNA virale sia stato identificato nello sperma e nel sangue, ad oggi “non sono stati segnalati casi di trasmissione della SARS-CoV-2 per via fecale-orale, sessuale o ematica”. Ci sarebbe un solo cluster legato alla trasmissione fecale-respiratoria, ma la sua determinazione è dubbia. I dettagli dello studio “Transmission of SARS-CoV-2: A Review of Viral, Host, and Environmental Factors” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica Annals of Internal medicine.

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