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Come mandare il tuo messaggio agli extraterrestri

La compagnia americana Lone Signal utilizzerà un suo radiotelescopio per mandare messaggi al sistema stellare Gliese 526. Ma qualcuno sostiene che non sia una buona idea.
A cura di Roberto Paura
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Se esistono civiltà intelligenti nel sistema di Gliese 526, una nana rossa a 17,6 anni luce dalla Terra, potrebbero già aver intercettato parecchie nostre trasmissioni radiotelevisive. Nel migliore dei casi, potrebbero essere i dati inviati dalla Terra alle sonde sparse per il sistema solare, e viceversa. Nel peggiore, avrebbero appena iniziato a guardare la prima serie di Un posto al sole. Forse non ci capirebbero proprio niente. Forse non sono riusciti a captare il debole segnale disperso dalle nostre antenne nell’universo e quindi ignorano la nostra esistenza. Per questo, una compagnia americana ha deciso di fare sul serio. La “Lone Signal” invierà continuamente messaggi diretti precisamente nel sistema di Gliese 526, così da assicurarsi che, se qualcuno laggiù è in ascolto, possa riceverci forte e chiaro.

Progetto METI

Non è la prima volta che si tenta un esperimento di METI, ossia messagges for extraterrestrial intelligences, messaggi per intelligenze extraterrestri. Anche se la sua controparte passiva, il SETI, è molto più famosa, perché impegnata ad ascoltare le onde radio che giungono sulla Terra in cerca di un segnale di origine artificiale, il METI parte da un assunto condivisibile: se nell’universo esistono migliaia di civiltà tecnologiche, ma tutte sono impegnate ad ascoltare e nessuna parla dall’altra parte della cornetta, giungeremmo tutti alla conclusione che siamo soli. Nel 1974, in occasione dell’inaugurazione del gigantesco radiotelescopio di Arecibo, a Puerto Rico, per l’analisi dell’universo nella gamma radio, venne inviata una trasmissione diretta all’ammasso globulare di Ercole, a 25.000 anni luce dalla Terra. Naturalmente, non c’è nessuna speranza di riceve una risposta, dato che dovremmo aspettare almeno 50.000 anni (il tempo che il messaggio arrivi a destinazione e che sulla Terra giunga una risposta).

A partire da 0,99 dollari, Lone Signal permette a chiunque di mandare il suo messaggio verso Gliese 526.
A partire da 0,99 dollari, Lone Signal permette a chiunque di mandare il suo messaggio verso Gliese 526.

L’idea di “Lone Signal” è invece quella di provare con un sistema stellare vicino. Non si sa se Gliese 526 possieda pianeti, ma dato il ritmo vertiginoso con cui l’osservatorio spaziale Kepler sta individuando mondi extrasolari (anche se ora è k.o. per un guasto e forse sarà dismesso) induce all’ottimismo. La compagnia ha acquistato una vecchia antenna per la radiotrasmissione a Carmel, in California, un tempo usata per ritrasmettere in tutto il mondo le immagini in diretta degli allunaggi delle missioni Apollo. Da quell’antenna, Lone Signal invierà due diversi segnali. Il primo sarà a onda continua, realizzato in codice binario, per fornire informazioni di base sulla Terra e il nostro sistema solare attraverso un sistema di codifica sviluppato dall’astrofisico Michael Busch. L’idea è che nel codice binario gli extraterrestri possano individuare principi di base della fisica riconoscibili da qualsiasi civiltà a uno stadio di intelligenza pari almeno al nostro: la legge di gravità, la struttura dell’atomo di idrogeno e così via.

Cartoline dalla Terra

Il secondo sarà un collage di messaggi che chiunque potrà inviare. A partire da 0,99 dollari è possibile spedire un tweet, mentre con cifre maggiori potremmo spedire testi più lunghi e foto. Ognuno potrà mandare la sua personale cartolina agli alieni, se ce ne sono, o provare il proprio approccio di “primo contatto”, o semplicemente mandare una fotografia per fargli vedere come sono belli i tramonti dalle nostre parti (oppure quanto sono inquinati i nostri mari…). “Le nostre finalità scientifiche sono di scoprire esseri senzienti al di fuori del nostro sistema solare”, spiega Pierre Fabre, cofondatore di Lone Signal. “Ma una parte importante di questo progetto consiste nello spingere le persone a guardare oltre loro stessi e le loro differenze, chiedendosi piuttosto cosa vorrebbero dire a una civiltà diversa. Lone Signal permetterà alla gente di farlo”.

Un intento filosofico, dunque, oltre che di ricerca. Dopotutto, anche se potremmo ricevere una risposta nell’arco della nostra vita, non avremmo alcuna possibilità di metterci a fare conversazione telefonica con gli extraterrestri, dati i tempi di attesa particolarmente lunghi. Ma a molte persone l’idea non piace. Al di là del fatto che ognuno decide cosa fare dei propri soldi, il problema è un altro: mandando segnali nello spazio, non rischieremmo di richiamare l’attenzione sulla Terra e trasformarla nell’obiettivo militare di qualche aggressiva civiltà aliena? Da un paio d’anni alcuni scienziati e pensatori un po’ eccentrici stanno perorando la necessità di una moratoria mondiale del METI. Dovremmo cioè smetterla di dire agli alieni: “Ehi, siamo qui, venite a trovarci!”.

Rischiamo un'invasione aliena?

Molti scienziati oppongono a questo ragionamento il celebre “paradosso di Fermi”. Il fisico Enrico Fermi, infatti, parlando con i suoi colleghi degli avvistamenti di dischi volanti di moda alla fine degli anni ’40, si chiese: “Ma se davvero gli extraterrestri esistono, dove sono? Perché non ci hanno ancora fatto visita?”. Domanda interessante. Se le civiltà tecnologiche abbondano nell’universo, almeno una di esse dovrebbe essersi imbattuta nella Terra. Dovremmo insomma aver instaurato da tempo un primo contatto. Invece, niente. Dunque, ragionano molti esperti, forse di civiltà aliene ce ne sono a bizzeffe, ma nessuna ha intenzione di imbarcarsi su un’astronave e venirci a trovare, viste le distanze proibitive. Quindi non abbiamo niente da temere: nessuna gigantesca astronave farà capolino tra le nuvole di New York pronta a friggerci e conquistare la Terra, come in Independence Day.

Secondo alcuni scienziati e scrittori di fantascienza, mandare segnali nello spazio potrebbe attirare sulla Terra civiltà non proprio amichevoli.
Secondo alcuni scienziati e scrittori di fantascienza, mandare segnali nello spazio potrebbe attirare sulla Terra civiltà non proprio amichevoli.

Scrittori di fantascienza da sempre interessati al tema propongono però un’altra inquietante ipotesi. Immaginando che alcune civiltà extraterrestri si siano sviluppate fino al punto in cui le macchine da loro costruite si sono “ribellate” ai creatori e li hanno sterminati, l’universo potrebbe essere pieno di macchine mortali che vagano per i pianeti, li “sterilizzano” da tutte le forme di vita biologiche, ne sfruttano le risorse minerarie ed energetiche necessarie per replicarsi, e riprendono il viaggio verso altri mondi. Forse questi berserker (dal nome dei mitologici guerrieri vichinghi) aspettano di ricevere una trasmissione intelligente per attivarsi e raggiungere il pianeta da cui è stato spedito il messaggio, allo scopo di spazzarne via ogni forma di vita. Era questa l’idea di una celebre puntata della serie classica di Star Trek, o del ciclo di romanzi Berserker dello scrittore Fred Saberhagen. Le macchine dell’apocalisse potrebbero essere state create con questo fine da civiltà interessate alla conquista dell’universo. Come nel film Prometheus, potremmo finire per scatenare un’invasione di armi biologiche create per sterminare la razza umana.

Che fare, quindi? Smettere di mandare segnali nell’universo e limitarci ad ascoltare? Secondo alcuni scienziati, forse tutte le civiltà extraterrestri sono giunte a questa conclusione e nascondono le loro trasmissioni. Questo spiegherebbe il “grande silenzio” dello spazio cosmico. D’altro canto, la speranza è che lì fuori ci sia qualcuno molto più saggio della nostra civiltà, che non abbia alcuna aspirazione alla conquista dell’universo. I vantaggi che potrebbero derivare da uno scambio di informazioni con esseri intelligenti sarebbero enormi, molto più dei possibili svantaggi. Forse non riceveremo la cura per il cancro, ma potremo scoprire cosa sanno dell’universo e cosa pensano delle grandi domande esistenziali. Anche loro potrebbero avere qualcosa da imparare da noi, magari la nostra musica. Se poi non riuscissimo proprio a comunicare, perlomeno ci sentiremo un po’ meno soli.

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