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Come hanno fatto gli scienziati a fotografare un buco nero: anche italiani nel team

La prima, storica foto di un buco nero è stata ottenuta unendo le forze di otto potentissimi radiotelescopi sparsi in tutto il mondo, grazie a una tecnica chiamata “interferometria a lunghissima base”. Tra gli scienziati che hanno contribuito a questo storico risultato anche diversi ricercatori italiani.
A cura di Andrea Centini
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Il 10 aprile 2019 è stata pubblicata la prima foto di un buco nero, un traguardo storico per la scienza e l'intera umanità; ma come hanno fatto gli scienziati a ottenerla? Il segreto risiede nell'eccezionale spiegamento di “forze” messo in campo dal progetto Event Horizon Telescope, il gruppo di ricerca – composto da oltre duecento scienziati – alla base del magnifico scatto, che ritrae il buco nero supermassiccio nel cuore della galassia M87, a circa 50 milioni di anni luce da noi. I ricercatori si sono infatti avvalsi di otto potentissimi radiotelescopi sparsi in tutto il globo, sincronizzati tra loro attraverso un orologio atomico. Grazie a una tecnica chiamata “interferometria a lunghissima base” è come se avessero ottenuto un'unica, gigantesca parabola grande come tutta la Terra, puntata verso la galassia M87. Il potere risolutivo ottenuto avrebbe teoricamente permesso di leggere dalla Terra la pagina di un quotidiano posato sulla superficie della Luna.

Credit: Iztok Bončina/ESO
Credit: Iztok Bončina/ESO

I magnifici otto

Gli otto radiotelescopi impiegati dagli scienziati sono stati l'Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA) composto da 66 antenne; l'APEX; l'IRAM; il James Clerk Maxwell Telescope; il Large Millimeter Telescope Alfonso Serrano; il Submillimeter Array, il Submillimeter Telescope e il South Pole Telescope. Ciascuno di essi ha raccolto circa 350 Terabyte di dati per ogni giorno per dieci giorni di osservazione. Una mole di dati impressionante che non poteva transitare agevolmente su internet, nemmeno sulle linee super veloci a disposizione degli scienziati. Per questo gli hard disk sono stati prelevati e inviati in due centri di calcolo dotati di supercomputer, il Max Planck Institut fur Radioastronomie di Bonn, in Germania, e l'Haystack Observatory del Massachusetts Institute of Technology (MIT) negli Stati Uniti. Grazie a potentissimi algoritmi, gli scienziati hanno impiegato circa due anni per elaborare tutti i dati e ottenere lo scatto del buco nero supermassiccio.

Orgoglio nazionale

Tra gli scienziati che hanno contribuito alla prima, storica fotografia del buco nero ci sono il professor Ciriaco Goddi dell'Università di Nijmegen e Leiden (Olanda) e le due ricercatrici Elisabetta Liuzzo e Kazi Rygl dell’Istituto Nazionale di Astrofisica – Ira Bologna. Le due hanno lavorato per l’Alma Regional Centre che è gestito dall'INAF di Bologna. Liuzzo e Rygl hanno sviluppato un software dedicato alla calibrazione dei dati raccolti dal progetto EHT. “La calibrazione dei dati Eht è stata una grande sfida: i segnali astronomici sono deboli nella banda millimetrica, e distorti per effetto dell'atmosfera, che varia molto velocemente a queste frequenze”. All'ottenimento della foto del buco nero hanno lavorato anche ricercatrici dell'Istituto nazionale di Fisica nucleare (INFN), tra le quali Mariafelicia De Laurentis: “Questo straordinario risultato non solo ci regala la prima immagine di un buco nero, ma ci fornisce anche una prova diretta della presenza di buchi neri supermassicci al centro delle galassie e del motore centrale dei nuclei galattici attivi. Queste osservazioni vengono ora a costituire un nuovo strumento di indagine per esplorare la gravità nel suo limite estremo e su una scala di massa che finora non era stata accessibile”.

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