“Catturata” la luce delle stelle più antiche
Quasi quattro anni di lavoro ed un ottimo risultato per il telescopio spaziale Fermi, in missione del 2008 e frutto di una collaborazione internazionale guidata dalla NASA che ha visto all'opera, tra le altre, anche l'Agenzia Spaziale Italiana, l'Istituto Nazionale di Astrofisica e l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare: la missione è riuscita, infatti, a "fotografare" la luce proveniente dalle stelle nate per prime nell'Universo, isolandola all'interno della Luce di Fondo Extragalattica (EBL).
La conoscenza della Luce di Fondo Extragalattica è fondamentale al fine di comprendere caratteristiche e dettagli relativi alla formazione e alla natura delle stelle, poiché nella EBL è impressa come sulle pagine di un libro una parte significativamente importante della storia dell’Universo: tuttavia l’impresa necessita di apparecchiature particolarmente sofisticate in grado di rilevare la radiazione elettromagnetica emessa dai corpi celesti distinguendola da quella proveniente dalla nostra Galassia. Fermi è riuscito nel primo passo di "leggere" indirettamente tale radiazione analizzando l’interazione della Luce di Fondo Extragalattica con i raggi gamma provenienti da altre fonti già note agli esperti come i blazar (blazing quasi-stellar object), 150 sorgenti energetiche associate ad un buco nero supermassiccio: i dettagli dell'ampio studio internazionale che ha portato a tale risultato sono stati pubblicati dalla rivista Science.
I raffinati strumenti di Fermi hanno, dunque, lanciato uno sguardo all'interno di questa sorta di nebbia cosmica, fornendo così un'indicazione e una misura sulle differenze in termini di luce emessa tra le diverse generazioni di stelle e contribuendo, quindi, ad una comprensione più accurata delle fasi di formazione stellare. Del resto, come in una sorta di archeologia dell'Universo, «la luce ottica e ultravioletta delle stelle continua a viaggiare nell'universo anche dopo che le stelle hanno smesso di brillare e questo crea un campo di radiazione fossile che possiamo esplorare usando i raggi gamma da sorgenti distanti», come ha spiegato Marco Ajello ricercatore presso il Kavli Institute for Particle Astrophysics and Cosmology della californiana Stanford University.