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Cancro al seno, addio chemioterapia per il 70% delle donne con la forma precoce più comune

Grazie a un test genomico, ricercatori americani dell’Albert Einstein Cancer Center di New York hanno dimostrato che, nella maggior parte delle donne colpite dal carcinoma mammario HER2- allo stadio iniziale, la chemioterapia non offre vantaggi rispetto alla sola terapia ormonale in termini di sopravvivenza libera dalla malattia.
A cura di Andrea Centini
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Il 70 percento delle donne colpite dalla forma più comune di cancro al seno allo stadio iniziale può evitare di sottoporsi ai pesanti cicli di chemioterapia. La sola terapia ormonale praticata dopo l'intervento chirurgico, infatti, garantisce i medesimi risultati in termini di sopravvivenza libera dalla patologia. Lo ha dimostrato un team di ricerca del prestigioso Albert Einstein Cancer Center di New York, che ha presentato i risultati dello studio TAYLORx – il più approfondito sulle terapie del carcinoma mammario – alle conferenza principale del meeting annuale dell'ASCO (American Society of Clinical Oncologists), l'associazione degli oncologi americani riunita in questi giorni a Chicago.

Per determinare questa percentuale, i ricercatori coordinati dal professor Joseph Sparano, vice direttore del gruppo ECOG-ACRIN, hanno seguito per una media di 7,5 anni oltre 10mila donne colpite dalla malattia. Di esse, circa 7mila sono state sottoposte in parte alla sola ormonoterapia e in parte alla chemioterapia più terapia ormonale. Dai risultati è emerso che, per larga parte di quelle con età superiore ai 50 anni, se il cancro al seno precoce è della forma più diffusa (quella positiva ai recettori ormonali, HER2-) e non sono coinvolti i linfonodi ascellari, dopo l'intervento chirurgico è sufficiente la sola ormonoterapia, evitando alle pazienti i pesanti effetti della chemioterapia.

Per stabilire la tipologia di trattamento da applicare si eseguono specifici test genomici; quello alla base del nuovo studio di fase III, l'Oncotype DX, analizza 21 geni e assegna un punteggio alle pazienti. Sino ad oggi si sapeva che le donne con punteggio da 1 a 10, cioè quelle con bassa probabilità di recidiva della malattia entro 10 anni, potevano essere trattate con la sola terapia ormonale, mentre quelle con punteggio tra 26 e 100 con la combinazione di ormonoterapia e chemioterapia. I dubbi riguardavano i punteggi intermedi (da 11 e 25), che grazie al nuovo test sono stati sciolti: per questo gruppo la chemioterapia non aggiunge vantaggi in termini di sopravvivenza rispetto alla sola ormonoterapia.

“Prima del TAYLORx c’era incertezza sul miglior trattamento per le pazienti con un punteggio medio di rischio valutato in base all'Oncotype DX. Il trial era destinato a chiarire questa incertezza e ha dato una risposta assai definitiva”, ha dichiarato il professor Sparano. “Ogni donna – ha aggiunto lo specialista – con tumore iniziale al seno dai 75 anni in giù dovrebbe dunque avere la possibilità di sottoporsi al test e discutere con il medico circa l’opportunità di sottoporsi alla chemioterapia dopo l’intervento”. Per le pazienti al di sotto dei 50 anni la doppia terapia offre comunque i benefici maggiori in termini di sopravvivenza e recidiva.

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