Batteri fecali contro la cirrosi epatica: così contrastano i casi più gravi
Il trapianto di batteri fecali nei pazienti colpiti da encefalopatia epatica, una grave complicazione legata alla cirrosi epatica, comporta un sensibile miglioramento delle funzioni cognitive. Lo ha dimostrato un gruppo di ricercatori della Virginia Commonwealth University di Richmond (Stati Uniti), che ha presentato il nuovo studio in occasione del The International Liver Congress 2017 (EASL), il più importante meeting sulle malattie del fegato attualmente in corso di svolgimento ad Amsterdam, nei Paesi Bassi. Gli studiosi, coordinati dal professor Jasmohan Bajaj, hanno inoltre determinato che il trattamento a base di batteri fecali, somministrati attraverso un clistere, riduce il numero di ospedalizzazioni rispetto alle terapie standard con lattulosio e rifaximina.
Per giungere a queste conclusioni, i ricercatori hanno coinvolto in uno studio venti pazienti affetti da cirrosi epatica, tutti con sintomi di encefalopatia epatica, una complicazione scaturita dalla difficoltà del fegato malato di eliminare le tossine, che così riescono a raggiungere il cervello ‘avvelenandolo'. I partecipanti sono stati suddivisi in gruppi e solo una parte di essi ha ricevuto un reale trattamento a base di batteri fecali. Dai dati estrapolati attraverso specifici test cognitivi, come il PHES (Psychometric Hepatic Encephalopathy Score) specifico per l'encefalopatia epatica e lo Stroop App, è emerso che i punteggi migliori sono stati ottenuti proprio da chi aveva subito il trapianto di batteri. Esso ha comportato anche l'aumento nel numero di ceppi di benefici, come Bifidobacteriaceae e Lactobacillaceae, e soltanto uno dei pazienti trattati ha mostrato una diminuzione nelle funzioni cognitive, con un aumento nel numero di proteobatteri (una vasta gamma di agenti patogeni parassiti) nella flora intestinale.
Nei due anni complessivi durante i quali sono stati seguiti i pazienti, i ricercatori hanno riscontrato anche una netta diminuzione nel numero di ospedalizzazioni per quelli trattati; in media soltanto due, rispetto alle undici di quelli curati con la terapia standard. I risultati ottenuti, benché incoraggianti, necessitano di ulteriori approfondimenti anche alla luce del numero ridotto di partecipanti, ma il legame tra disturbi neurologici e qualità della flora intestinale sembra ulteriormente confermato. Recentemente scienziati dell'Università dell'Alabama di Birmingham hanno dimostrato una correlazione tra batteri intestinali e morbo di Parkinson.
[Foto di DarkoStojanovic]