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Arturo, l’orso polare più triste del mondo è morto. Non fu mai libero

Dall’Argentina è arrivata la conferma, Arturo, l’orso polare più triste del mondo, è morto a 31 anni dopo 23 anni costretto a vivere nello zoo di Mendoza in cui, d’estate, le temperature superano i 40 gradi.
A cura di Zeina Ayache
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Arturo, l'ultimo orso polare in cattività in Argentina, è morto a 31 anni. Era il 2014 quando le vicende di Arturo, l'orso polare ribattezzato “il più triste del mondo”, hanno fatto il giro di tutti i mezzi di comunicazione, due lunghi anni prima di poter essere finalmente libero. Arturo è infatti morto dopo una lenta agonia che lo ha visto vivere per 23 anni in uno zoo, lo Zoo Mendoza, in cui le temperature estive raggiungono anche i 40 gradi. Un caldo insopportabile per un animale che dovrebbe vivere al Polo Nord e appartenente ad una specie fortemente a rischio estinzione proprio a causa delle alte temperature provocate dal riscaldamento globale.

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Il soprannome di “orso polare più triste del mondo” gli era stato assegnato dopo che, in seguito alla morte della compagna Pelusa, nel 2012, aveva mostrato i primi segni di difficoltà, c'era chi parlava di depressione e chi di problemi mentali, in ogni caso poco importa cosa fosse realmente, in certi casi antropomorfizzare è superfluo, era chiaro a tutti che Arturo non fosse nel posto giusto. Molte le petizioni a suo nome, molti gli appelli per spostare l'unico orso polare in cattività presente in Argentina. Ma perché non lo hanno trasferito in un altro zoo? A quanto pare l'animale era troppo anziano per sopravvivere al viaggio verso uno zoo in Canada dove avrebbe trovato un clima più adatto alle sue esigenze, e così ha terminato i suoi giorni in Argentina.

Arturo è morto il 3 luglio, è stato ritrovato senza vita nella gabbia in cui era costretto da quando aveva 8 anni. Di lui dicono che i suoi 31 anni rappresentano un record, visto la l'aspettativa di vita media che si aggira intorno ai 20 anni per gli orsi liberi e 26 per quelli in cattività, una longevità che però non sembra positiva, anzi gli ha reso ancor più lunga l'agonia. Secondo la nota pubblicata in seguito alla sua morte, Arturo negli ultimi periodi era peggiorato, non mangiava, non era reattivo e la depressione aveva tanto che venerdì scorso i veterinari stavano meditando di praticare l'eutanasia per evitargli ulteriori sofferenze, ma, affermano “la natura ha fatto il suo corso”.

E la chiamano anche natura quella in uno zoo, in un contesto in cui non ci sono le temperature e l'habitat necessari per la sopravvivenza di questa tipologia di animale. La morte di Arturo si aggiunge a quella di molti altri animali degli zoo come il gorilla Harambe o il giaguaro Juma che in questi mesi hanno acceso il dibattito sull'utilità di questi parchi di intrattenimento, sulla loro corretta gestione e sul rispetto che hanno nei confronti di quella che sì è la vera natura degli esseri viventi che lì dentro sono costretti a resistere. Un dibattito che ancora non ha trovato soluzione e che forse non la troverà facilmente, ma che almeno aiuta a riflettere. E se oggi, alla notizia della morte dell'orso polare più triste del mondo, in molti hanno pensato "finalmente è libero", allora vuol dire che forse possiamo ancora sperare che un giorno non ci saranno più altri Arturo, Harambe e Juma.

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