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Apri la finestra in pieno inverno e non senti freddo? È “merito” di questa mutazione

Analizzando la composizione proteica e l’attivazione muscolare di 42 giovani volontari, un team di ricerca internazionale guidato da scienziati svedesi e lituani ha scoperto che chi è privo di una specifica proteina (chiamata α-actinina-3) ha una migliore resistenza al freddo. La mancanza di questa proteina è legata a una mutazione genetica, presente in una persona su cinque.
A cura di Andrea Centini
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Tutti noi conosciamo qualcuno insensibile al freddo, che si veste a maniche corte in pieno inverno e desidera tenere la finestra aperta anche quando la temperatura esterna si avvicina pericolosamente allo zero. Dietro questa sorta di “superpotere”, non esattamente apprezzato da chi vorrebbe starsene al caldo, si celerebbe una mutazione al gene ACTN3, che determina la mancanza di una specifica proteina chiamata α-actinina-3. Chi ne è privo, in pratica, avrebbe una migliore resistenza al freddo e dunque si comporta in modo insolito  innanzi al crollo della colonnina di mercurio. Si stima che questa variante genetica sia presente in circa una persona su cinque in tutto il mondo, ovvero 1,5 miliardi di persone.

A scoprire l'origine genetica della resistenza al freddo è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati del Karolinska Institute di Stoccolma (Svezia) e dell'Istituto di Scienze dello Sport e Innovazione dell'Università Lituana dello Sport (Lituania), che hanno collaborato a stretto con i colleghi del Murdoch Children’s Research Institute presso il The Royal Children’s Hospital di Melbourne (Australia). Gli scienziati, coordinati dal professor Håkan Westerblad, docente di Fisiologia e Farmacologia presso l'autorevole istituto svedese, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver condotto un curioso esperimento con 42 volontari di età compresa tra i 18 e i 40 anni, tutti residenti nella città lituana di Kaunas. Tutti conducevano una moderata attività fisica (<2 ore di esercizio fisico / settimana), non erano coinvolti in progetti sportivi e non facevano lavori che li esponevano continuamente al freddo.

Il professor Westerblad e i colleghi hanno chiesto loro di restare a digiuno per 12 ore prima di iniziare l'esperimento vero e proprio, ovvero immersioni (fino al collo) in acqua fredda a 14° C per sessioni da venti minuti, alternate a riposo di 10 minuti in aree a temperatura ambiente (22° C con umidità al 60 percento), fino a un totale di 120 minuti (170 comprese le fasi di riposo). L'obiettivo dei ricercatori era far scendere la temperatura del corpo umano nel range medio – tra i 36,5 e i 37,5° C – a 35,5° C. Prima dell'immersione hanno prelevato delle biopsie dal muscolo vasto laterale (una delle componenti del quadricipite della coscia) da ciascun partecipante, per analizzarne le concentrazioni proteiche e la composizione delle fibre. Durante l'esperimento vero e proprio è stata analizzata anche l'attività elettrica dei muscoli.

Incrociando tutti i dati, gli scienziati hanno scoperto che circa il 70 percento delle persone portatrici della variante genetica che le privava della proteina α-actinina-3 aveva la capacità di mantenere la propria temperatura corporea al di sopra dei 35,5° C, mentre solo il 30 percento di chi aveva questa proteina aveva tale capacità. In altri termini, chi era privo della proteina aveva una maggiore resistenza al freddo. Gli autori dello studio hanno scoperto anche che le persone senza α-actinina-3 avevano concentrazioni maggiori di fibre muscolari a contrazione lenta anziché rapida, che si attivavano di più durante l'immersione in acqua fredda (riscaldando il corpo). Chi invece possedeva la proteina, manifestava una maggiore attivazione delle fibre muscolari a contrazione rapida, sperimentando i classici brividi di freddo.

Secondo gli studiosi questa variante genetica è emersa quando i nostri antenati preistorici, circa 50mila anni fa, si spostarono dai climi caldi (Africa) a quelli più freddi (Europa) del pianeta; essa si manifestò per selezione naturale, ed essendo vantaggiosa per la sopravvivenza rimase impressa nel nostro codice genetico. Perlomeno in quello dei fortunati portatori. “Il nostro studio mostra una migliore tolleranza al freddo nelle persone prive di α-actinina-3, che sarebbe stato un vantaggio evolutivo per la sopravvivenza quando ci si spostava in climi più freddi. Il nostro studio evidenzia anche la grande importanza del muscolo scheletrico come generatore di calore negli esseri umani”, ha dichiarato in un comunicato stampa il professor Håkan Westerblad. Ma al giorno d'oggi, spiegano gli scienziati, potrebbe non tradursi in un vero e proprio vantaggio dal punto di vista dell'efficienza energetica, dato che in linea generale non lottiamo per la sopravvivenza, abbiamo libero accesso al cibo e viviamo in ambienti che ci tengono al caldo anche quando fuori ci sono le intemperie. I dettagli della ricerca “Loss of α-actinin-3 during human evolution provides superior cold resilience and muscle heat generation” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica American Journal of Human Genetics.

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